Ieri... oggi, è già domani - 20 giugno 2023, 06:00

"giugn e lui - i pè'n tera" - giugno e luglio - a piedi nudi

Due in uno. Non è uno slogan da supermercato, ma Giusepèn me lo propone pensando ai "suoi tempi" che possono pure raffigurare i "miei tempi"; quantomeno, quelli dell'infanzia...

"giugn e lui - i pè'n tera" - giugno e luglio - a piedi nudi

Due in uno. Non è uno slogan da supermercato, ma Giusepèn me lo propone pensando ai "suoi tempi" che possono pure raffigurare i "miei tempi"; quantomeno, quelli dell'infanzia. Che il mese di giugno di quest'anno somigliasse parecchio al mese di marzo, poco ci corre: pioggia e temporale, quasi tutte le notti. Per carità, catechizza Giusepèn "ghea non bisogn da spandi aqua pàa i giarditi" (non c'era bisogno di buttare acqua per i giardini), ma aggiunge "giugn e lui, àa tera l'à bui" (giugno e luglio, la terra bolle), per dire che la temperatura sale e il caldo, la fa da padrone.

"Quei tempi" (quelli a cui allude Giusepèn) "s'andea a turnu in pe'n tera" (si camminava e si giocava e si andava in giro -bello quel "turnu" per dire in giro- a piedi nudi). Faceva caldo. Nessuno sapeva quanto, ma c'era un detto "lu sentan anca i sturni" (lo sentono -il caldo- anche i sordi). Metafora per dire che il caldo torrido, lo "sentono - avvertono" anche i sordi.

Eppoi, (diciamolo) andare scalzi, voleva dire non-consumare le suole delle scarpe, risparmiare "sin candu ga egn su a cupa ca la fò da sòa" (sino a che, sotto i piedi, cresceva il callo che fungeva da suola).. In alternativa alle scarpe, che si indossavano alla domenica "pandàa a Messa o in di festi cumandòi" (per recarsi in Chiesa, alla Messa o durante le feste comandate … Comunioni, Cresima, Matrimoni), si mettevano ai piedi "i zucrauni" che sono le zoccole: notare. "i zucrauni" di genere maschile e "le zoccole" di genere femminile. Allora non si era così furbi da pensare al giusto significato che la Lingua Italiana ha fornito: per "zoccole" si intendeva (e si ritengono), le puttane. Le piante dei piedi diventavano dritte e lisce come l'asfalto appena disteso e una tomaia di zoccole, non costava certo come a far risuolare le scarpe.

Giusepèn è drastico "ghèa a calstria" e su queste tre parole, bisognerebbe scriverne un romanzo. La gente (poca) sa cos'è la "calastria". Proviamo a immaginare la povertà, la vita di stenti, il risparmio smodato, l'arte di far quadrare il bilancio familiare. Niente a che vedere con la "calastria" che era semplicemente la povertà al cubo, la vita di stenti al quadrato, il risparmio quasi spasmodico, da applicare su ogni risorsa. Tanto per capire. Il prosciutto, allora, lo si vedeva solo a Natale; così pure per il cioccolato-buono, ogni leccornia; dalla frutta in poi, la vacanza fuori-porta, l'automobile, il lusso e lo sforzo. Tutta "roba" inesistente e sconosciuta per la gente umile. La "calastria" a volte toglieva spazio persino al sostentamento. Ed è brutto "patteggiare" con la fame!

Per farla breve: colazione al mattino con latte e "cicoria" (estratto e surrogato del caffè) con pane - polenta a pranzo, magari con una fetta di bollito per fornire alla polenta un certo sapore. Addirittura, a Busto Arsizio si era "inventato" un piatto tipico che andava bene per il pranzo e la cena, a base di "carni e patoti senza carni". Già il nome chiarisce il menu: "carne e patate" è quasi normale.

E' il "senza carni" che va spiegato. Semplicemente significa che insieme alle patate si cuoceva anche la carne, quella a basso prezzo, ma, una volta cotte le patate e cotta pure la carne, si toglieva dalle patate, il pezzo di carne... quanto erano buone e saporite quelle patate.

E, la carne? la si consumava con fette abbondanti di "pan segrusu" (pane di farina di segale) o "pan mistu" (pane misto)che conteneva farine di diversa specie: ogni fornaio conosceva la "ricetta", ma ciascuno vendeva per migliore, la propria.

Col "giugn e lui" c'era abbinato pure un altro proverbio: "ul fregiu e ul coldu, i u mangiàn non i rati" ed è qui che vi volevo (dice proprio così Giusepèn): "il freddo e il caldo, non lo mangiano i topi", per dire che l'evoluzione del tempo (oggi lo chiamano Meteo) è codificato dalla date, ma non sempre le date conciliano con le giornate attuali. Vedi Il "giugno piovoso" come a marzo o il caldo che proprio in questi giorni avrà la realizzazione con l'aggiunta (così ho sentito) di almeno 7° sui valori usuali.

Vero che "non ci son più le quattro stagioni" come si sente dire, ma pure vero che tra qualche decennio, anche il calendario avrà bisogno di una "aggiustatina" - già l'anno bisestile denota che nulla è perfetto e che c'è bisogno di un giorno in più ogni quattro anni per tenere sotto tiro le stagioni, ma con l'effetto di un giugno "truccato" di marzo, sembra proprio che il Calendario ha bisogno di una "aggiustatina" - la "prova" l'ho avuta da l'EREDITA', la trasmissione TV di Rai 1.

In una domanda ai concorrenti, si chiedeva "perché l'anno 46 dopo Cristo l'hanno chiamato anno pazzo?" - i Concorrenti non hanno risposto e la soluzione al quesito, l'ha fornita Insinna, il conduttore della trasmissione. Nel 46 d.C si cambiò la decorrenza dei mesi dell'anno: sino al 45 d.C gli anni erano formati da DIECI mesi, ma dal 46 d.C. gli anni si contavano in DODICI mesi. "e mo?" (e adesso?) dice Giusepèn: NOCINO e… "ciapemala m'à la egn" (prendiamola come viene… la vita!

Gianluigi Marcora

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