Calcio - 02 maggio 2023, 18:32

Pro Patria: l’amarezza diffusa, quell’abbraccio di Mancini e una rivoluzione che non può attendere

Dopo il finale di questo campionato e le considerazioni della presidente in un video, riflettiamo su un calcio e su un ambiente inesorabilmente cambiati. Dove bisogna trovare nuove strade, uscire, ascoltare perché essere "l'unica società professionistica del territorio" non basta. E le domande sono un bene più prezioso dei like

Pro Patria: l’amarezza diffusa, quell’abbraccio di Mancini e una rivoluzione che non può attendere

Tra le reazioni al video della presidente della Pro Patria Patrizia Testa, ce n’è una che ci colpisce particolarmente: « Ciao Patrizia, grazie di cuore. E te lo dice una persona che sa cosa vuol dire fare il Presidente per otto anni e più.  Complimenti.  Abbraccio». La scrive Adriano Mancini, che ci riporta indietro agli anni Settanta e non solo, anche con papà Peppino: un’epoca così differente, eppure viene difficile pensare a un momento della storia tigrotta in cui una proprietà, una guida non abbia provato, a tratti o costantemente, solitudine e delusione.  

L'amarezza finale

Del resto, quest’ultima parola – delusione - accomuna molti al termine di questa stagione, nella società e non solo. Non per il risultato, visto che si tratta pur sempre della salvezza, ma del modo in cui è avvenuta: in discesa rispetto ai sogni per un po’ coltivati con la gestione Vargas.

Accompagnato anche dall’amarezza  a 360 gradi, per un calcio e un ambiente inesorabilmente cambiati. Che ricordi porteremo via dal rush finale della serie C, al netto dei verdetti finali di playoff e playout? L’ultima partita della Pro Patria contro il Sangiuliano ci riporta al deplorevole spettacolo di Seregno, multa salata e settore chiuso per via del comportamento di alcuni tifosi bustocchi, con il paradosso che comportamenti negativi non sono stati ravvisati dalla giustizia sportiva tra i supporter avversari.  

Poi, più in generale, l’inchiesta su Pergolettese-Triestina, con l’esposto su un presunto avvicinamento denunciato dalla prima società e lo sdegno espresso della seconda: ancora una volta un epilogo con tanta incertezza.

La disaffezione e i semi

Ecco perché c’è amaro in bocca e non solo: ri-guardiamo in casa. I numeri dello Speroni rammentano che la disaffezione del pubblico continua. La presidente con la sua famiglia mette del proprio ogni giorno per far proseguire una storia che è non è più di tutti, e nemmeno di tanti, ma patrimonio di una città sì. Può contare su sponsor fedeli che sono stati decisivi anche nel riprendersi la società dopo l’anno scorso, ma decisive new entry si fanno invece desiderare.

Il lavoro costante e convinto di Emanuele Gambertoglio, accanto a Nicolò Ramella, continua ad esempio nelle scuole con il Tigrotto 1919, ma i semi non conducono alla fioritura immediata: ci vogliono tempo e pazienza. E poi, c’è tutto il discorso delle società calcistiche della città, che alla Pro non guardano e non perché siano brutte e cattive, ma per problemi del passato che scottano ancora.

A questo proposito l’analisi del coordinatore del settore giovanile Christian Cerrone durante la puntata finale di Stadio Aperto, è amara ma civile, senza livore. Un appello, una dichiarazione di massima disponibilità al dialogo per superare le ruggini e costruire un cammino in comune.

È uscendo, ascoltando le ragioni dell’altro, anche rischiando qualche vaffa in nome di un passato che a Busto non è mai troppo lontano per definizione, che si può provare a spezzare l’isolamento. Perché attorno alla Pro si avverte spesso proprio questo, l’isolamento.

Dire «Siamo l’unica società professionistica della provincia» non basta: è una calamita, alla fine rischia di pesare soltanto.

Il contraddittorio, sempre

Del resto, anche i giornalisti sono professionisti, il che non significa privilegio – quelli forse anni luce fa e per pochi – ma lavoro, sforzi di equidistanza, dovere. Si lavora, appunto, e quindi anche si sbaglia, sempre cercando però di capire per raccontare, e a tutti.

Soprattutto i giornalisti fanno domande, che possono servire più dei like sui social: questi ultimi nemmeno sono automatici abbonamenti.  È il contraddittorio che aiuta a cercare  le soluzioni, le strade anche nuove da percorrere. Perché una strada nuova serve, è indubbio; una rivoluzione, anche silenziosa come quella di cui il settore giovanile è a nostro parere specchio, non può attendere in un mondo in cui il calcio perde appeal più veloce della luce.

Quanto abbiamo imparato quest’anno, proprio dialogando con i tigrotti puntata dopo puntata a Stadio Aperto. Quanto con il settore giovanile, che è stato la luce costante, anche nei momenti di maggiore tribolazione di questa stagione.

Quanto con i nostri lettori, i loro commenti, le ispirazioni, le critiche.

L'antidoto

È questo l’antidoto all’amarezza e la via per provare a cambiare qualcosa: uscire dai soliti ambienti e ascoltare. È come quando immergi le scarpe nel fango di un campo dopo la pioggia: a volte prendi freddo e basta, altre ti si scalda il cuore, altre ancora ti viene un'idea.

È su quel campo, in una gelida sera invernale, che abbiamo raccolto la lezione più bella dell’anno, mormorata da un piccolo giocatore che teneva la mano sulla spalla dell’altro: «Non devi guardare chi è simpatico o antipatico, ma chi è perbene». Tanti bustocchi hanno valori e possono ricredersi sulla Pro, sul calcio: bisogna andarli a cercare o a recuperare, con tenacia e umiltà.

Marilena Lualdi


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