Ieri... oggi, è già domani - 25 aprile 2023, 06:00

"Maria e ul sciatu " - Maria e il rospo

Mi accoglie Maria, col viso disteso e gli occhi buoni. Si percepisce … si vede che ha appena finito di ridere a crepapelle

"Maria e ul sciatu " - Maria e il rospo

Mi accoglie Maria, col viso disteso e gli occhi buoni. Si percepisce … si vede che ha appena finito di ridere a crepapelle. Poi, sull'uscio di casa, fa capolino Giusepèn. Anche lui ha appena riso. Lo si nota dai suoi baffetti arzilli che si muovono come fa l'onda cheta del mare che arriva a riva. "sa ghe" dico io con un pizzico di incredulità. E' Maria che parla. "ul me po’ l'à di 'na paòla che men a ragurdeu pu: ul sciatu" (mio padre ha detto una parola che io non ricordavo: il rospo) "e men gu dì …. cus'à l'e, po?" (e io gli ho detto: cos'è papà?).

Fatto è che gli stavo mettendo una pomata sulla schiena. Lui ogni tanto, non lo dà a veder, ma soffre per qualche dolore di schiena (è Maria che parla) ed io, lo stavo frizionando, in modo da spalmare la pomata su tutto l'arco lombare. A un certo punto, lui mi dice "frega pulidu; a go a pel da sciatu" (frega bene, ho la pelle del rospo). Al che, mi sono messa a ridere, ricordando che quella parola, papà la utilizzava spesso, anche quando si trattava di "fare il bagno", quando lui rincasava dalla campagna o dal giardino, ma pure quando giocavo con le mie amiche e nel cortile ci si sporcava di terra o ci si inzaccherava di polvere.

Ecco, per lui, lo strofinare la pelle e lavarsi era: "lavàs pulidu, frega, par tià via'l crocu" (lavati bene, strofina bene, per tirar via lo sporco). Giusepèn ammicca. "vessì neti l'e rispettu par nogn e pai i oltar" (essere puliti, è rispetto per noi e per gli altri) e su ciò Giusepèn è sempre andato fiero. Poi Maria ha aggiunto. "Candu al tia foa i scarpi, ogni sia, prima da metai al so postu, cunt'a spazeta, al tia via a tera e cunt'a cera, i u lustar" (quando -papà- si toglie le scarpe ogni sera, prima di metterle al loro posto, con l'apposita spazzola, leva la polvere sulle scarpe e con l'apposita cera, le lucida). Anche qui, Giusepèn ammicca. Mi fa notare che lui usa tuttora la cera TANA che utilizzava "candu seu 'n giuinotu" (quando ero un giovanotto) e mostra le sue scarpe tirate a lucido, con orgoglio. "Teme chi dul Fred Aster" (come quelle di Fred Astaire).

Tornando al "sciatu" (rospo) ci sarebbe tanto da dire. E Giusepèn fa rimarcare il fatto che coi tempi che cambiano e che sono molto cambiati, la parola "sciatu" si usava spesso per chi svolgeva un lavoro manuale: il contadino, l'operaio in genere; chi, in un modo o nell'altro a fine lavoro si doveva pulire e doveva "fregunà" (strofinare) con forza e quasi con veemenza per pulirsi dallo sporco accumulato sulle mani …. vi immaginate, il meccanico? chi usa l'olio sugli ingranaggi o sulle catene delle biciclette? chi scaricava dai vagoni, il carbone? chi lavorava in un'impresa edile o in un'impresa di asfalto? - lavori umili, manuali che mettevano a repentaglio la pelle. Che, per poterla far diventare pulita, necessitava di strofinamenti repentini che facevano dire "a go a pel da sciatu" (ho la pelle di rospo) per via della durezza che il rospo ha nei confronti della rana.

Ho citato nei lavori "duri" quello dell'impresa che asfalta le strade. A proposito, sapete come veniva chiamato l'asfalto? Giusepèn lo dice quasi con enfasi: "ul mudròn", proprio così, l'asfalto aveva questo nome: Da non confondere col "muòn" che è il gelso. Ne parleremo più diffusamente in altri momenti. Arriva Maria: "violtar du, ghe prontu ul nocino" (voi due -confidenzialmente- è pronto il nocino). Ovviamente (risponde Giusepèn, in italiano) "ci tocca". Gradevole incombenza!

Gianluigi Marcora

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