Il pettegolezzo, l'affanno del vivere, l'invidia, portano dritto al "marmuà", quel "mormorare" che puzza di rincrescimento, di squallore; sparlare invece di parlare, dialogare, confrontarsi. Ecco, avere da dire senza il confronto è "mormorare", come a non possedere la capacità di affrontare colei o colui che ci avrebbe fatto del male o avesse dichiarato qualcosa che non ci aggrada.
Giusepèn va giù dritto nel commentare: "l'e roba da vigliacchi, maurmuò" (faccenda di vigliacchi, mormorare), come la calunnia …."la calunnia è un venticello" e lo si canta pure dentro un'Opera magnifica. Quel "venticello" che spazia leggero da bocca in bocca, senza l'accondiscendenza del cervello e nemmeno del cuore. Come a "prendere per buono, il male" o a gioire per una negatività a prescindere, successa a una persona che si conosce.
"Marmuò" è anche la considerazione "a lui (o a lei) va sempre bene tutto" come se la Vita avesse il merito di "privilegiare" (lei o lui) facendo superare a entrambi ogni tipo di prova; ma non è così.
Giusepèn non va oltre le considerazioni esposte, ma con quel "roba da vigliacchi" considera chiuso l'argomento e aggiunge solo, "ma piasàn non chi ga marmua" (non mi piacciono coloro che mormorano o che dicono male degli altri).
Mi viene incontro il Vocabolario che alla voce MORMORARE specifica che si tratta di verbo intransitivo con ausiliare avere e produce un rumore lieve e continuo, detto per acque correnti - le fronde, mosse dal vento - parlare sommessamente , magari "fra i denti" - brontolare, lagnarsi per poi sconfinare nel "la gente mormora alle tue spalle" - c'è poi la famosa canzone "il Piave mormorò, non passa lo straniero" e qui, c'è l'esaltazione benefica del mormorare e dello spirito italiano.
Giusepèn chiama Maria che gli dice "po’, ul Gigi al ga voia non da sentì paòl bruti …. l'àa uperossi" (papà, il Gigi non ha voglia di ascoltare brutte parole, deve subire un intervento chirurgico) e Giusepèn rimedia subito con un detto Bustocco colmo di speranza: "l'e mèi sta chi malamenti, putostu d'andà là pulidu" (meglio rimanere in vita in qualche modo, piuttosto di passare a miglior vita, in maniera perfetta). Ci sarebbe tanto da ribattere, ma la saggezza di Giusepèn è inconfutabile.
Gli avrei ribattuto (almeno) che se non potessi fare la mia parte, non voglio essere un automa o un "peso" per gli altri, ma so che mi avrebbe risposto "nisogn al decidi a impurtanza c'al go" (nessuno può decidere quale importanza ha per gli altri e pure in rispetto a se stessi) oppure la mia vita l'ho condotta in maniera brillante, con volontà, spaziando qua e là, volutamente attiva e non posso tollerarmi chiuso in casa, a farmi servire, a farmi commiserare, a farmi vivere . Io preferisco vivere. "mo pensa s sta ben, tantu l'è stess prezzi che a pensò malamenti" ( adesso pensa a stare bene, tanto è la stessa riflessione pensare in maniera negativa). Giusepèn, col suo "spirito di speranza" mi offre una "forza" grandiosa. La stessa "forza" che mi sta donando TU che mi accompagna col cuore. "Niente Nocino" dice Maria in italiano puro, "s'à edam a tempu e ua" (ci vediamo a tempo e ora) dopo ovviamente la degenza!