L'accrescitivo è d'uopo in questo caso. Si tratta di coperchio e in italiano non esiste il "coperchione", ma c'è il "coperchio-grande"; come esiste quello piccolo o di media misura. Tutto ciò per valorizzare un detto del Dialetto Bustocco da strada. E tiro in ballo Giusepèn per avermelo ricordato: "un dì o l'oltar ga egn giù 'n cuercion e al ma volta là tuci". La traduzione è un tantino drammatica, ma col Dialetto non si scherza: "così è se vi pare".
Quindi, "un giorno o l'altro verrà giù un immenso coperchio che ci coprirà tutti"; insomma, per dirla alla Enrico Montesanao "na'Pocalisse" (una Apolalisse), una specie di chiusura totale alle "faccende umane" e all'attuale Civiltà che per parecchi motivi, di Civile c'è proprio poco.
Ne parla Giusepèn. Lui non è un catastrofista, ma guai contestare un "detto Bustocco" che ha radici profonde nel quotidiano. E se si è giunti a una frase del genere, un plausibile motivo, c'è.
Il motivo va cercato nei comportamenti delle persone. Ovvio! Di fronte alle malefatte, di certo Chi ci giudica "chèl là al voltu" (sia il Chi sia il "chel là al voltu") è specificato DIO, dovrà provvedere ai dovuti provvedimenti. Giusepèn va oltre le riflessioni della gente. Lui è per le decisioni immediate e conseguenti ai fatti. Se fai bene, ti lodo - se fai male, ti punisco. E' una specie di "certezza della pena". Che all'epoca di Giusepèn era inveterata nel comportamento quotidiano e che oggi, lascia molto a desiderare.
Ne discutiamo, Giusepèn ed io, coinvolgendo pure Maria che snocciola qualche esempio e lo dice nei dovuti particolari: guai trasgredire quel che mamma e papà (di più la mamma - sic) decretavano, guai disattendere alle incombenze quotidiane, guai tralasciare il "dovere" prima di intraprendere lo svago o dedicarsi ai giochi, guai (soprattutto) usare la maleducazione di fronte all'educazione, guai bigiare la Scuola o la Messa.
Nelle Famiglie di allora, esisteva una "disciplina" da rispettare. Di fronte e talune esigenze (quelle personali) si doveva valutare il bisogno della Famiglia. Si imparava il sacrificio, il rispetto dei ruoli, l'educazione, perfino la "certezza della pena" e non esistevano deroghe: il NO era categorico e il SI era un ordine. Inoltre, la parola data era un impegno da seguire e un monito da rispettare.
Esempio spicciolo: a Scuola si doveva andare con impegno. Il "brutto voto" era in agguato, ma non se ne faceva un dramma. "Studia" si diceva in casa, ma non si andava dalla maestra a chiedere spiegazioni. Oggi (spesso e volentieri) si contesta il Docente, il proprio figlio è sempre un Genio e se il responso porta a valutazioni mediocri nei confronti del proprio "pargolo" si arriva a denunce, reclami e talvolta a "sfide corporali" - guai poi, non rispettare un impegno: il prestito lo si faceva per stretta di mano - era sempre il più giovane a salutare per primo - sul bus, l'uomo concedeva il posto a sedere alla donna, il giovane lo concedeva al più anziano - la fila si rispettava - la bicicletta potevi lasciarla incustodita e la ritrovavi dopo aver sbrigato le tue faccende - se ti permettevi di dire parolacce ti arrivava uno "slavagenti" (sberlone) "cal t'à gira a facia da chel'oltra parti" (che ti gira la faccia dall'altra parte).
Oggi, chi paga le tasse è un grullo, il furbetto diventa un mito, approfittarsi della bonomia degli altri, un vanto e … .perfino quando ci si incontra per strada o si è al cospetto di una signora, non si toglie più il cappello. A proposito, c'è un detto anche per il cappello che Giusepèn mette in mostra "candu i oman i metàn su pu ul capèl, un mondu al va a burdel" (quando gli uomini non indossano più il cappello, il mondo andrà a catafascio) … ma questo sarà un argomento da sviscerare in altra occasione. Oggi …. vediamo di non "provocare" la caduta del "cuerciòn" (grosso coperchio). Nel possibile, meglio darci una … regolata.