Ieri... oggi, è già domani - 16 settembre 2022, 06:00

"tirula e scalfarotti" - ciucciotto e calzettoni

Mai visto Giusepèn così scatenato. Tanto che al telefono gli ho risposto "t'e mangià a balossa?

"tirula e scalfarotti" - ciucciotto e calzettoni

Mai visto Giusepèn così scatenato. Tanto che al telefono gli ho risposto "t'e mangià a balossa?" che ha un significato intuibile, ma non da scrivere …..si riferisce all'organo genitale femminile, anche se la "balossa" era detta per la mortadella di fegato. Poche parole di cordialità, poi Giusepèn "vegn chi a truomi. Go tanti robi da diti" (vieni a farmi visita. Ho tante novità da comunicarti). "A egnu a dre a man" (vengo subito), ma quel "a dre a man" si traduce "a portata di mano" ed è questa la bellezza del Dialetto Bustocco "da strada" che imbelletta la realtà e rende palpabile la fantasia.

"incoeu a parlam dul bauscèn, dul tirula e di scalfarotti" (oggi parliamo del bavaglino, del ciucciotto e dei calzettoni). Parole nuove, ma antiche; gioviali pure, da non dimenticare. Il "bavaglino" lo si indossava al neonato, prima della poppata, per non inzaccherare il vestitino. Era di larghe misure e il "bauscèn" usuale aveva una forma rettangolare, coi lacci da annodare dietro alla nuca. Quando poi il poppante aveva terminato la succhiata, la mamma lo poneva in modo tale da farlo digerire. Il "ruttino" (vezzeggiativo di rutto) era … d'ordinanza ed evitava il rigurgito. Quando poi il sonno del bimbo non arrivava, la mamma, a ogni piagnisteo del bimbo gli metteva in bocca "ul tirula" che chiamavano "ciuccio" e non si pensava ovviamente all'asino, ma alla tettarella che il bimbo doveva succhiare pur privo di denti. Gli "scalfarotti" erano le calze, dette anche "culzetti", ma avevano una peculiarità: "culzetti" le calze usuali, con o senza gambali, e "scalfarotti", le calze pesanti che solitamente erano di lana.

Giusepèn mi fa notare che "ul titula" era detto anche "susciòn" (succhione) e Giusepèn quasi si scusa per non averlo ricordato prima del "tirula". Ci tiene, Giusepèn alla perfezione.

Visto che ci siamo coi pargoli, Giusepèn parla di "pupola" (bambola) per le bambine e di "dondolo" per i maschietti. Anche se, ad andatura lenta, in base alla crescita dei pargoli, si regalava alla femmina "ul cusì" (il necessaire del cucito) e al maschietto, la "costruzione", il "lego" e il cinturone del cow boy con tanto di pistola, cappellaccio, gilet e foulard da perfetto "vachero".

Le femminucce giocavano "alla mamma" con la pupola e i maschietti giocavano "ai banditi" perché non avevano dimestichezza coi cow boy arrivati in Italia "con troppa America sui manifesti" come canta Toto Cutugno.

Visto che ci siamo con l'abbigliamento ecco due parole "nuove" che cita Giusepèn: "a zenta e i bretèi". La traduzione è facile: cintura e bretelle che all'epoca venivano indossate dagli uomini "pezzi da novanta" da "il Padrino", in base alla circonferenza del bacino. La "zenta" aveva una lunghezza standard e taluni omaccioni non erano in grado di allacciarla. Costoro, inequivocabilmente, indossavano "i bretèi" (le bretelle). Visto? "bretèi" al maschile - bretelle al femminile. "par incoeu l'e se inscì - mo l'e ua dul Nocino, chel bon" (per oggi è abbastanza così con le parole - adesso è l'ora del Nocino, quello buono". Ciau Giusepèn, saludami a to Maria - ciao Giuseppino, salutami tua figlia Maria (era andata "a pruedi" (a far la spesa - mentre la traduzione recita "a provvedere"). Anche qui, fantasia, grazia, delicatezza del Dialetto Bustocco "da strada"...

Gianluigi Marcora

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