C’è una questione di metodo che sfocia nel merito, per quanto riguarda la Commissione Sanità, a Gallarate. Commissione che non deve necessariamente occuparsi solo del futuro ospedale Busto/Gallarate, con ciò che ne consegue per il Sant’Antonio Abate. Ma che finora, per ovvie ragioni, si è concentrata sul tema di maggiore richiamo e di più evidente attualità. Come noto, la Commissione è composta da consiglieri comunali, esperti indicati dai gruppi rappresentati nell’assemblea civica e tecnici “laici”. Professionisti che hanno presentato la propria candidatura per prendere parte ai lavori, senza indicazioni politiche. Ebbene, la questione di metodo è posta da due di loro: Alessandra Pandolfi (architetto – pianificatore territoriale) ed Elena Pastò (medico).
Al centro dell’attenzione, soprattutto il Sant’Antonio Abate. Come preservarne la funzionalità di qui all’attivazione del nuovo ospedale? Come gestire, in prospettiva, il passaggio di servizi dall’una all’altra struttura? E su quali temi è necessario ragionare per evitare quello che ormai tutti chiamano “rischio Legnano”, cioè l’abbandono di un’ampia porzione di territorio, per giunta vicinissima al centro di Gallarate, con conseguente vulnerabilità al degrado? Garantire servizi di qualità da oggi alla partenza del nuovo nosocomio è punto irrinunciabile. Ma poi?
«La nostra proposta – spiegano Alessandra Pandolfi ed Elena Pastò – è stata protocollata e distribuita agli altri componenti della Commissione. È una sorta di canovaccio su cui lavorare. Non in contrasto con le altre proposte elaborate finora. Tutte presentano elementi interessanti». Le due professioniste segnalano, in particolare, un rischio. Quello legato a una pianificazione su aree e volumi attualmente occupati dal sant’Antonio Abate eccessivamente precisa. Dunque rigida. «Come possiamo essere certi, oggi, delle necessità legate alla salute e alla stessa gestione urbanistica di Gallarate, tra 10-15 anni? Questi sono i tempi su cui dobbiamo ragionare, viste le previsioni sulla realizzazione e l’attivazione del nuovo ospedale».
Snodo da affrontare, l’accordo di programma, una convenzione tra enti che costituisce la cornice delle operazioni collegate alla partenza della nuova struttura, con tutte le ricadute del caso relative ai servizi offerti ai cittadini. «Quando abbiamo conosciuto le prospettive – sottolineano le commissarie – ci è sembrato di vedere già una sorta di progetto preliminare. È giusto scendere già oggi così nel dettaglio?». Un esempio: punto fermo, per varie ragioni, fra cui il valore storico dell’edificio, è la preservazione, a Gallarate, del padiglione Boito. Lì dovrebbero trovare posto centro psicosociale, centro diurno integrato, neuropsichiatria infantile, spazio per associazioni, a partire da Avis, ambulatori della cronicità, ospedale di comunità. Ma, condivisi più o meno dalla totalità della Commissione Sanità, sussistono dubbi su spazi ideati in un periodo storico lontano. A quale prezzo, ammesso che sia possibile portare a termine l’operazione, si potrà adattare l’edificio alle esigenze di un’offerta sanitaria al passo coi tempi?
Le due professioniste convengono sulla necessità di evitare doppioni. Tema delicato, perché comporta, per esempio, il trasloco in toto del Pronto Soccorso nella struttura futura. «Il pronto soccorso è una sorta di porta d’accesso, è ragionevole che si trovi nel nuovo ospedale». Ma su altre prospettive pongono punti interrogativi. «In un ospedale si usano apparecchiature e materiali potenzialmente nocivi. Abbiamo, quindi, un’incognita bonifica, con i costi collegati. Come si può pianificare fin d’ora un riutilizzo delle aree, magari a scopo residenziale o commerciale, senza sapere se sarà necessario bonificare?».
Al fondo, secondo il pianificatore e il medico, resta la necessità di ragionare per funzioni, senza costruire, con l’accordo di programma, una gabbia rigida, che possa essere d’impaccio quando, tra un decennio, si dovranno gestire i servizi nel passaggio alla nuova struttura. Quanto a quella esistente: «Potrebbe continuare ad avere una macro funzione sociosanitaria. La stessa di oggi, non ci sarebbe bisogno di bonifica. Un grande cappello sotto al quale offrire servizi come case di comunità, Rsa, polo di medicina sportiva, polo universitario, casa delle associazioni». Firmatari aggiunti della proposta, i commissari Stefano Matta e Massimo Gnocchi.
Il dibattito sembra fertile. Si spera che porti raccolto.