Giuseppino saluta tuttora all'antica. "mal'vo'l lauà" che in traduzione è "come va il lavoro", ma che, nel saluto, l'espressione raggiunge il giusto significato nel Dialetto Bustocco da strada. In base alla risposta a cui il "saluto" è rivolto, si capisce il grado di salute corporale. Quando "ul lauà al va ben" (quando il lavoro va bene), vuole dire che si sta bene in tutto.... salute compresa. Diversamente, col "lauà" condizionato da inghippi, anche la salute scricchiola.
Ciò, per effetto del "credo" in cui un Bustocco si identifica. Che va a confluire nel nativo e lavativo di cui mi vanto di esserci. L'ho già scritto che un "Bustocco nativo e lavativo" è colui che è nato a Busto Arsizio da entrambi i genitori e dai quattro nonni, nati a Busto Arsizio. Quindi, nulla di offensivo in quel "lavativo". A ben guardare (tanto per fare un'assonanza) dire a un Bustocco solo ed esclusivamente "lavativo" equivale a dire a un meridionale "bastardo". Qui, a Busto Arsizio, il Lavoro è sacro come ....la mamma. Il lavativo è colui che disdegna di lavorare, il fannullone. Per cui, l'epiteto di lavativo, lo ....scomunica agli occhi della Comunità.
Giusepèn mi riconduce al saluto ed emette una (quasi) sentenza): "se ul saludu l'àa essi bon, te a fal cunt'ul to musòn" che tradotto in italiano, fa "se il saluto deve essere buono, devi eseguirlo con la tua faccia, di presenza" quasi a confutare certi "saluti", magari fatti qui in facebook a persone che non si conoscono. Il saluto è un ...lasciapassare sincero fra le Persone. Può essere cordiale, secco, ma mai di convenienza. Addirittura si può avere un saluto ....non-cordiale, ma pieno di "creanza", di "rispetto" che ha nulla a che fare con l'acredine o con il pensiero rivolto a un torto subito. E', per il Giusepèn "mutivo da educazion" (motivo di educazione).
Si può pure delegare altre persone, di portare un saluto a casa o in ...comunità. Importante è la credibilità del saluto, mai un saluto di convenienza. Ecco quindi che talvolta, mi trovo qui, a casa, Giusepèn. D'accordo, lui dice che vado spesso (più volte) "ti, a cà mia" (tu a casa mia), piuttosto di "lui da me", per cui, a Giusepèn garba "fa ul me duèu, na cai oelta" (fare il mio dovere, qualche volta). Attenzione, però. Il "dovere" che cita Giusepèn, non è il "dovere" centellinato e studiato.
Giusepèn mette il suo "dovere" dentro il rispetto che utilizzano le persone sincere, innamorate della verità. Quel "dovere" di cuore, di riconoscenza, di affetto, di bene che esiste fra persone leali.
A Busto c'è pure il "ciau neh" (ciao, eh) che si utilizza quando si è spicci e si deve fare in fretta a salutare. Fra giovani, il "ciau neh" ....ora sento la gioventù salutarsi con ....grugniti, sberleffi, un po' di ironia incomprensibile o con parole inventate che sfiorano il turpiloquio. Insomma, non c'è quella chiarezza che un saluto alla Bustocca mette invece ben in risalto.
Il saluto "cunt'ul to musòn" l'ho imparato da mamma. Voleva pure dire "vai a trovare zia" oppure "rendi visita a questa persona", ma pure "ho saputo del malessere di una persona conosciuta, vai a chiedere se tutto è tornato nella norma". Il "to musòn" è il "metterci la faccia"....anche perchè, la giusta espressione del viso, lascia trasparire l'animo di una persona.
Magari potrei scrivere un "buon giorno" di .... prassi, ma chi lo riceve può immaginarsi tante cose: "perchè l'ha fatto dopo mesi che non s'è fatto sentire?" - "mi saluta perchè l'ho incontrato e gli ho detto che da troppo tempo, fra noi c'è silenzio?" - "finalmente s'è degnato di salutare" - "che bello, ci siamo visti in giro, non ci siamo parlati, ma lui avrebbe voluto salutarmi, ma io non mi sono fermata perchè avevo da fare". Poi, diciamolo...un sorriso d'occhi, un saluto sincero, una vocalità suadente, fanno di un saluto una magnificenza che fa contento il cuore. Magari, un ciao accompagnato da un abbraccio e da un bacio pudico e delicato, fanno di un semplice saluto, un'espressione d'amore! - il saluto, per te che mi leggi è solo amore, con rispetto e zelo!