Opinioni - 11 febbraio 2022, 09:20

L'emergenza nella notte e quella luce in pronto soccorso: «Ci chiamiamo medico e infermiere»

Nella Giornata del Malato un'urgenza diventa un'occasione di guardarsi negli occhi e di ringraziare. O per dirla come don Fabrizio Barlozzo «non è mai sufficiente il grazie per la vostra professionalità e la vostra passione, anche di fronte a incomprensioni, violenze verbali, stanchezza e, a volte… anche rabbia»

L'emergenza nella notte e quella luce in pronto soccorso: «Ci chiamiamo medico e infermiere»

L’emergenza, quella che già suscitava apprensione pura in periodi meno tempestosi e spesso accentuava la difficoltà a comprendersi, eppure era anche occasione di profonda umanità. Funzionava così, finché sui giorni e sulle notti del pronto soccorso è calato un peso ancora più schiacciante, più insidioso.

È quello che ci ha sconvolto le vite, sempre lui, il Covid. Il doppio binario - assistenza ai pazienti che affluiscono per incidenti o patologie improvvise e il virus da tenere a bada - corre quotidianamente ormai da due anni. È per questo motivo che ci viene da fermarci un attimo e raccontare un minuscolo episodio, simbolico dello sforzo di ciascuno in prima linea, nella Giornata del Malato che abbraccia chi soffre e chi se ne prende cura.

Un fatto, che si lega a una manciata di parole, in grado nella loro semplicità di innescare un sorriso di gratitudine. Irrompe una notte dunque, dove le emergenze affluiscono come al solito: l’arrivo al pronto soccorso di Busto Arsizio per un incidente, la presa in carico da parte del personale, quella parete di vetro tra sala d’attesa e spazi per le cure che è diventata come un muro con il Covid. I parenti fuori ad attendere un segnale, una speranza, una risposta, mentre dentro parte il primo, obbligato passaggio: il tampone. Tutti sulla stessa barca, tutti distanziati, in attesa del risultato. E se senti «negativo» rivolto a te, tiri un sospiro di sollievo perché è come se avessi superato un primo ostacolo. Solo il primo. Ma quando risuona lo stesso verdetto per un altro paziente, percepisci il sollievo con  simile intensità. Perché nelle emergenze si è tutti uniti, perché vorresti andare via presto da lì, ma non puoi fingere di non vedere il dolore altrui, pur essendo chiuso nel tuo, e te lo porterai dietro anche dopo.

Non puoi far finta nemmeno di ignorare la pressione a cui sono sottoposti medici e infermieri e di stupirti, perché quando si presenta il tuo turno, vieni accolto con un sorriso gentile. Un medico ti visita, approfondisce, soppesa ogni aspetto che gli descrivi, mentre l’infermiere accanto rassicura. Chissà come fanno a sorridere così, mentre stai lottando con la paura. Chissà se la provano anche loro, per tutto ciò che divampa attorno.

Sono minuti che si addentrano nella notte, ma intanto cominci a vedere la luce. Tanto che il peggio  è passato e apprendi che puoi andare a casa, allora affiora un desiderio: «Mi dite per favore i nostri nomi? Vorrei ringraziarvi».  Perché è giusto inviare alle aziende ospedaliere una contestazione in casi problematici, ma lo è altrettanto segnalare chi ha fatto il proprio dovere con umanità .Il loro silenzio iniziale si scioglie in un altro sorriso, poi rispondono: «Ci chiamiamo medico e infermiere».

Certo, l’identità del dottore sul referto è palese e di fronte alle insistenze almeno affidano il nome di battesimo. Ma quando sei tornato a casa e respiri un po’ più di pace, quelle parole ti risuonano dentro come un medicinale aggiuntivo: così semplici, così vere, perché ciascuno è una persona con una sua storia, un suo impegno, punti di forza e debolezze, ma medici e infermieri – chiamati a gran voce eroi e poi dimenticati - stanno combattendo in questo ancor più fosco scenario da due anni. Come quella notte, nei panni di paziente, hai combattuto tu.

Allora ti sforzi di scrivere la mail all’ospedale, ma non trovi parole nitide, dirette, come quelle usate da loro. Ti viene in soccorso un bellissimo post, pubblicato dal cappellano dell’ospedale don Fabrizio Barlozzo, commentando il video “Agli eroi del nostro tempo”, dedicato proprio a questi operatori silenziosi: «Non è mai sufficiente il grazie per la vostra professionalità e la vostra passione, anche di fronte a incomprensioni, violenze verbali, stanchezza e, a volte… anche rabbia».

Annuisci e lo ridici come ti hanno insegnato loro, senza volerti insegnare nulla: grazie medico, grazie infermiere. 

Marilena Lualdi

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