Busto Arsizio - 11 febbraio 2022, 16:00

«La Germania ha fatto i conti col passato, noi italiani no»

«Vorrei ci fosse qualcuno che dicesse: “Siamo stati dalla parte sbagliata”. Spero prima o poi di sentire questa frase». Toccante testimonianza con le sorelle Bucci deportate ad Auschwitz in collegamento per gli Amici di Angioletto, durante gli incontri “Giustizia e libertà”

Le sorelle Andra e Tatiana Bucci

Le sorelle Andra e Tatiana Bucci

Hanno saputo trascinare nel loro dolore incancellabile quel centinaio di ragazzi, studenti, giovani e adulti collegati ieri sera con l’iniziativa degli Amici di Angioletto. Anche da remoto hanno saputo coinvolgere nelle loro lacrime con una testimonianza straziante che ha raggiunto l’apice quando hanno parlato della loro madre. Protagoniste le sorelle Bucci, sopravvissute ad Auschwitz che in occasione della Giornata della Memoria e del cartellone “Giustizia e libertà” sono state invitate dagli Amici di Angioletto a tenere una lezione di storia. O meglio è stata una lezione di vita quella che le sorelle Bucci hanno voluto impartire ai bustesi, che in 96 erano tutti collegati in diretta a tu per tu con Tatiana e Andra deportate nei campi di sterminio quando avevano soli 4 e 6 anni.

Hanno raccontato la loro vita, da quando dal luogo di nascita, Fiume, una sera sono state prelevate da quattro nazisti e due fascisti che hanno fatto irruzione in casa. «Ricordo perfettamente la sera dell’arresto – racconta Tatiana – Era fine marzo del ’44 quando la mamma ci svegliò, ci vestì in gran fretta. Quello che non dimenticherò mai è quando entrai in soggiorno e vidi la nonna inginocchiata davanti al capo della spedizione che lo supplicava di lasciare i bambini in casa. Ciò non fu esaudito. Prima ci portarono in un centro di raccolta e poi ad Auschwitz-Birkenau. Venimmo imbarcati su treni che sembravano carri-bestiame, con un viaggio lunghissimo e pieno di disagi. C’era un secchio che faceva da bagno. Insomma, già durante il viaggio avevamo perso la nostra dignità. Ma era voluto dalla mente dei nazisti che noi perdessimo la nostra dignità».

A continuare il racconto è poi Andra. «La mia memoria si apre all’arrivo a Birkenau. Venimmo divisi tra uomini e donne, alcuni a sinistra altri a destra. Quelli a destra salirono su un camion, che poi abbiamo saputo essere stato diretto alle camere a gas. Noi passammo la selezione ed entrammo nel campo. Il motivo non lo sappiamo: forse perché figlie di un matrimonio misto o forse perché ci scambiarono per gemelle. Avevamo lo stesso cappottino. Arrivammo il 4-4-44, una serie numerica particolare, direi, forse fortunata considerando che siamo ancora qui a raccontare. Entrammo in un caseggiato in mattoni dove ci presero le generalità, ci fecero spogliare, fare la doccia, ci tagliarono i capelli, fecero la disinfestazione e ci diedero nuovi abiti. Poi mi chiesero di porgere il braccio sinistro e mi tatuarono. Il mio numero era il 76483».

Da qui inizia la loro nuova vita, avevano sei e quattro anni, lo ridiciamo. Loro non ricordano di aver mai pianto o di aver cercato la mamma. Ma quando Andra ricorda la madre, viene presa da una commozione forte che le impedisce di proseguire il discorso. Il dolore è fortissimo, troppo. Riesce solo a dire: «Mia madre era una donna eccezionale, ma mi porterò sempre nella mia vita questo rancore: di non averglielo mai detto. Non sono mai riuscita ad abbracciare mia mamma. L’ho capito solo quando sono diventata mamma io, quando ho avuto mio figlio tra le braccia». Quando le sorelle Bucci vedevano la mamma, lei ricordava sempre loro di non dimenticare il loro nome, perché è quello che volevano i nazisti: far smarrire la loro identità.

Poi hanno richiamato alla memoria altri momenti toccanti: «Nel campo non avevamo giocattoli, giocavamo a palle di neve, tra i cadaveri, senza impressionarci. Ci siamo abituate a quella vita che non era vita. Era morte, la morte ci circondava sempre, ovunque». Un racconto toccante, intenso, profondo che raggiunge l’apice quando raccontano di come si sono salvate. «Una donna tedesca che ci aveva preso in simpatia, è stata la nostra fortuna. Ci aveva detto che quando ci avrebbero schierati e chiesto chi volesse andare dalla mamma, noi saremmo dovute restare immobili. E noi siamo rimaste immobili. Venti bambini invece hanno fatto un passo avanti, sperando di andare dalla loro mamma. Più tardi siamo venuti a sapere che quei bimbi furono portati in un altro campo, dove avevano bisogno di loro come cavie per esperimenti. Sì, furono sperimentati, soffrirono moltissimo. Poi li portarono in una periferia di una scuola e con un’iniezione di morfina li sedarono. Qualcuno era già morto, gli altri vennero appesi a ganci di macellaio». Implacabile la conclusione: «La Germania ha fatto i conti con il suo passato, noi italiani no. Vorrei che ci fosse qualcuno che dicesse: “Siamo stati dalla parte sbagliata”. Spero prima o poi di sentire questa frase».

Laura Vignati

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