29-30-31 gennaio: i tre giorni "della merla". Giusepèn, ne parla. Discute sul significato, poi ..sbotta: "'na oelta, diseàn che i tri di dàa merla, ean i pisse fregi e ghean o camiti tul pizzi" (una volta, dicevano che i tre giorni della merla, erano i più freddi (dell'anno n.d.a.) e i camini erano tutti accesi). Tutte le case, avevano il camino; specie le case rurali, quelle della povera gente.
Non le persone che abitavano le "case di ringhiera", ma quelle che avevano un'abitazione propria, costruita con tanti sacrifici.... addirittura dando "sberlai àa buca" che nella traduzione letterale vuol dire "sberle alla bocca", ma il loro significato era..... sacrifici, sacrifici, sacrifici. E privazioni.
Chi aveva un casolare proprio, necessariamente, aveva il camino e sul tetto, c'era un comignolo che permetteva la fuoriuscita del fumo. Oltre a scaldare in casa, quel camino permetteva "ul barnasciu" che serviva a eliminare le scorie e ad avvicinare alle fiamme, "i sciuchètti da legn" (i piccoli resti del tronco abbattuto) che alimentavano la fiamma. La canna fumaria permetteva alla combustione di avere uno sbocco e di portare all'esterno l'ossido di carbonio che il fuoco produceva.
Ecco la "leggenda" dei "tri di dàa merla", come ho già scritto, "i tre giorni della merla". Poi, ciascuno la "amplia" o la "riduce" come gli garba, ma sostanzialmente, narra così: c'ea una merla (la femmina del merlo) che vagava per la campagna, fra stoppie e gelo e cercava un riparo. Il freddo era così intenso che gelava il respiro e sembrava che le persone fumassero a più non posso. Non per il "vizio della sigaretta", ma per il fiato che fuoriusciva da naso e bocca. Ebbene, la "merla" vagava per la campagna e da lontano vide un comignolo che emetteva "un fil di fumo" e comprese che proprio là doveva ripararsi, al caldo del fuoco acceso in casa che aveva lo spiraglio con l'esterno. Finalmente, la "merla" trovò riparo, proprio dentro il comignolo e vinse il freddo gelido.
C'è chi dice che la "merla" aveva il piumaggio bianco e il becco grigio; chi dice che il becco era giallo e il piumaggio era d'un colore scuro ....chi...propina la propria versione. Fatto è che in quei "tre giorni", il piumaggio della merla divenne nero, il suo becco abbrustolito divenne giallo e il freddo.... intenso, glaciale, fu ....superato. Dal quarto giorno in poi, la temperatura esterna si sarebbe innalzata e l'intensità del freddo, sarebbe sempre più calata, in prospettiva della primavera.
Nelle case, tuttavia, proprio con quel freddo all'esterno, c'era il tepore del fuoco, l'allegria del desco tradizionale "risottu cunt'àa luganiga" (riso con la salsiccia) e "mericanèl" (il vino ottenuto con la lavorazione dell'uva americana). In verità, la qualità di quell'uva, detta "americana", l'ho mai capita. Perchè chiamarla "americana" che con l'America nemmeno si parlava di vino o cibarie indigene?
Giusepèn dice "netu e sciettu" (pulito e schietto), "l'e inscì e morta lì" (è così e basta) come se fosse un dogma di fede, come la ....verginità della Madonna. C'è un aspetto morale, nella vicenda. Sapere che dopo "i tri di dàa merla" al "vegn a sculdàssi u aria, al vor di che 'l tempu al vegn bel" (dopo i fatidici tre giorni freddissimi, arriva il bel tempo, l'aria si riscalda) che vuole significare che anche la campagna comincerà a germogliare e donare i suoi frutti. Il senso della speranza stava nel significato delle conseguenze dei "tre giorni della merla" e con la speranza, si superavano i rigori dell'inverno e pure i "rigori" e le conseguenze di una vita grama, fatta di stenti.
Adesso che ci penso... ricordo papà che saliva sul tetto di casa, faceva lo spazzacamino, passava una lunga scopa dal camino alla camera fumaria e puliva l'intero tratto dalla fuliggine, "tingendosi" di un nero cupo che (quasi) gli cambiava i connotati. Il pensiero andava alla "merla", ma pure Giusepèn è consenziente , al "risottu cunt'àa luganiga" che tutti insieme si mangiava con appetito.