È un uomo che ha coronato il sogno coltivato fin da bambino, diventare preparatore atletico. Ma alla stessa stregua che non smette mai di studiare e che cerca di trarre il lato positivo dalle esperienze negative: persino dal primo lockdown dove ha scoperto una cosa che oggi serve ai tigrotti. Perché sì, quest’uomo è Stefano Bortolan, il preparatore atletico che è arrivato accanto al neo allenatore della Pro Patria Luca Prina: anche questo, un capitolo speciale di una storia di lavoro e amicizia, che rigenerano in tempi come questo. Lavorare con lui? Bortolan si è illuminato ed è corso qui.
Lei il giorno del raduno diceva di aver trovato a Busto un ambiente carico ed energico, una società sana, giovani desiderosi di lavorare. Un mese dopo, sensazioni confermate?
Sì, la fortuna mia e dell’allenatore è di essere entrati in una realtà già ampiamente avviata, c’è stato poco cambiamento in termini di giocatori, se non alcune figure, e già funzionava bene. Si è trattato di inserirsi con le nostre regole, i nostri metodi di lavoro. Mi sono trovato benissimo. Al di là delle amichevoli e nella quotidianità del prima e dopo le sedute di allentamento ho trovato un gruppo dedito alla cultura del lavoro.
Anche tra ragazzi così giovani: questo può essere sorprendente rispetto alla vecchia immagine del calcio?
Io faccio questo lavoro da 15-16 anni e la mentalità media del calciatore è cresciuta: è più atleta e attento ai dettagli di ciò che succede fuori dall’allenamento, massa corporea, massa grassa, alimentazione. Ho coinvolto il gruppo in un lavoro da svolgere al mattino appena svegli, con una App del cellulare. Appena svegli, mi mandano tutti i dati.
Vediamo allora una giornata tipo di questi tigrotti, anzi le giornate tipo. Appena svegli al lavoro sulla App e poi?
Ogni giorno è diverso, a seconda della vicinanza alla partita. Ma se i ragazzi iniziano l’allenamento alle 15, io chiedo loro di essere lì alle 13.30 per affrontare un lavoro complementare in palestra, ad esempio rinforzo sia degli arti inferiori sia di quelli superiori, e per chi a problematiche particolari, ci sono programmi preventivi. Al termine dell’allenamento, ancora in palestra per stretching e scarico.
Lei ha effettuato interventi precisi sul “combustibile”, ovvero l’alimentazione dei ragazzi, no?
Il mondo sportivo in questi dieci anni è cambiato molto, con la ricerca in vari ambiti, compreso in quello dell’alimentazione. Andava bene, ma ho introdotto alcuni piccoli cambiamenti che per me sono significativi: si può notare un miglioramento dello stato di benessere. Abbiamo ridotto, per fare un esempio, l’apporto di zuccheri semplici, sostanza che al giocatore e alla persona non serve troppo: meglio orientare su frutta, verdura… mentre la crostata è stata quasi del tutto abbandonata. I ragazzi mi sono venuti dietro tranquillamente. La figura del preparatore atletico è ormai molto preparata. Secondo me, chi ha lavorato qui prima, sapeva farlo. Non ho portato novità clamorose, ma il mio metodo con esercitazioni classiche, lavori di resistenza, forza, agilità. Sono molto attento alla somministrazione e quantificazione dei carichi di lavoro.
Ecco, parliamo del suo mestiere. Se un giovane vuole sceglierlo, che cosa gli suggerisce?
Quello che ho fatto io. Mentre finivo l’università ho affiancato un professionista di altissimo livello, per imparare i trucchi del mestiere. Andate da una persona così, offritevi di aiutarla… io non guadagnavo niente. Uno se prende un’azienda, deve fare un mutuo e comprare i macchinari. Il preparatore fa un investimento su se stesso.
Quando lei ha deciso che avrebbe fatto proprio questo, nella vita?
È un sogno che ho sempre avuto. Fin da quando ero nel settore giovanile della Biellese, a 14, 15 anni io già volevo allenare la prima squadra. A 26 anni ci sono arrivato, molto presto. E da lì mi si è aperto un mondo: ho coronato il mio sogno da bambino. Parlerei sempre del mio lavoro... Anche nel periodo del lockdown, quando non si poteva neanche fare una passeggiata, io sentivo costantemente i giocatori dell’Alessandria, 20 telefonate al giorno, e per il resto studiavo nuove cose. Tra cui proprio l’applicazione che uso oggi. Ecco, vede, con i due mesi di stop ho potuto fare questo. Poi studio sempre, la scienza va avanti.
Lei appare una persona positiva, che trae il bene da tutte le esperienze, anche da quella difficile da lei citata. Che è poi anche questo il lavoro che fa sui tigrotti: il corpo e la mente vanno allenati insieme?
Sicuramente. Ai ragazzi dico sempre: la fatica è principalmente mentale. Se non vi fate sconfiggere, dalla fatica mentale, non avverrà neanche con quella fisica. Se il giocatore capisce che il suo limite è ben al di là di quello che pensa, riesce a dare molto di più. E dico sempre: noi siamo in serie C, dobbiamo fare meglio possibile per andare in serie A. Io ho fatto diversi anni in B, ed era un mondo fantastico, lo voglio ancora. È questo che cerco di trasmettere ai più giovani.
In casa Pro Patria hanno colpito però in questi anni “ragazzi” come Le Noci, oggi nello staff, e Colombo o Fietta…
Vero, guardi io cito un episodio emblematico di un giocatore in serie B, Massimiliano Scaglia, oggi dirigente del settore giovanile della Juventus. A 38 anni, arrivava dal Verona ma non era venuto a “svernare” alla Pro Vercelli: dava il contributo al 100%. Non saltava un allenamento, non mollava mai: era un punto di riferimento per tutti i ragazzi. Ecco, lui aveva la cultura della fatica mentale: sapeva che se soffriva di più in allenamento, rendeva meglio in campo.
E quali sono stati i riferimenti di Stefano Bortolan?
Il mio mentore è stato il professor Scotti, quello che ho affiancato, come le dicevo. E poi mister Prina, che mi allenava quando ero un ragazzino. Sono state persone che mi hanno trasmesso molto sotto il profilo umano e lavorativo.
La lega a Prina una grande amicizia. La prima dote che gli riconosce?
Prima è un rapporto di amicizia, e poi lavorativo. Siamo stati amici e anche rivali, sa? Quando lui allenava l’Entella, io ero alla Pro Vercelli. Siamo stati acerrimi rivali, mai nemici. Appena c’è stata l’occasione di collaborare con lui a Busto non ci ho pensato due volte. Le doti... la passione e l’energia con cui vive.