Andiamo per il sottile. La "riverenza" è anche un detto popolare che si usava in antichità, con molteplici significati. Qui ci preme parlare della "riverenza" di un detto Bustocco che Giusepèn ci illustra con un proverbio: "a tropa cunfidenza, l'à fa perdi a riverenza" (la troppa confidenza, fa perdere il rispetto). Eccolo il nocciolo della questione. Qui, la "riverenza" fa parte del rispetto. Che di solito si deve avere sempre, per tutto e tutti, ma che talvolta sconfina con la "balordaggine", quando si allentano i freni inibitori.
Giusepèn la mette subito sul pratico. "Candu om e dona s'à dea dul vu, l'ea 'noltra vita. I fioeu ghean sudizion dul pò ....ghean pochi paòl, ma i fioeu i righean drizu". Giusepèn porta esempi di vita tipici, ma fermiamoci ai ....preamboli. "quando marito e moglie si davano del voi era un'altra vita. I figli avevano soggezione del padre....c'erano poche parole (nel dialogo), ma i figli rigavano dritto....erano sempre sulla buona strada".
Non è che contesto Giuseppino per la verità delle sue parole, ma ....ragiono con lui..."t'à sumea mei in lua o l'è mei mo?" (era meglio -il rapporto genitoriale- in quei tempi o è meglio ora?) Giuseppino riflette appena, poi sbotta "in lua a genti l'ea pise gnuranti, ma i fioeu ghean tèma di vegi" (allora, le persone erano più ignoranti -nel senso di non avere mezzi di comunicazione come ora- e i figli avevano timore, soggezione degli anziani). Qui, il rispetto fa da padrone sul comportamento generazionale. Rispetto per l'età differente. Rispetto per il decoro, la decenza, l'esperienza. Che oggi latita. Una di quelle è riferita alla tracotanza con cui taluni pensano di sapere tutto, ma non si rendono conto che la vera, autentica scuola è la vita, a cui si accostano i libri, ma senza il cosiddetto vissuto (esperienza) si è unicamente boriosi ignoranti.
"Candu ul me pò al'alzèa i oegi, t'è capii da mossi e da fa non ul ribambi....t'è duei trutò"
Quando mio padre alzava lo sguardo dovevi subito ubbidire e capire (nel caso stavi per compiere un'azione non logica) che dovevi fare in fretta a metterti sulla buona strada. Giusepèn porta gli esempi di allora. Ne cita molti anche attuali, ma si vede che ....soffre nel riscontrare gli errori di quella generazione e gli errori accentuati di queste generazioni. Mi illustra un tipico errore. "inlua, 'n paia da scorpi i duèan 'na vita....mo s'à butàn via teme i caramèi ....ul bisogn al ghe pu, mo ghe a moda" (allora, un paio di scarpe durava una vita....adesso (le scarpe) si buttano come se fossero caramelle ....il bisogno non esiste più....adesso c'è solo la moda).
E arriviamo al nocciolo dell'errore. "Ai fioeu s'à cuncedi tuscossi, par fai cuntenti....ma i fioeu i capissan non s'al voi di ul sacrifizi e ul risparmiu" (ai figli si concede tutto, anche il superfluo, per renderli contenti, ma i ragazzi, non capiscono cosa significano sacrificio e risparmio).
Annuisco. Il mio gesto di assenso fa dire al Giuseppino "anca ti t'è fèi insci....si o non?" (anche te hai agito così....si o no?). Annuisco ancora. "A pensì che i vostar sacrifizi n'à fai non i fioeu, ma i fioeu i podan non 'nparò ul sacrifizi sui libar, senza prual" (pensate -lo dice alla gente della mia generazione- che i vostri sacrifici non devono essere ripetuti dai figli, ma i figli non possono imparare il sacrificio sui libri, senza averli vissuti).
Quindi, Giuseppino? ....lo provoco. "ga oei dighi non dighi sempar da sì....'na cai oelta ogni tantu, ga oei dighi da non, l'è 'na medisina" (non occorre dire ai figli sempre di si, dire loro qualche volta NO è una medicina). A questo punto, lo sguardo di Giusepèn si illumina. Per lui, la riverenza non è soggezione, non è deferenza o ossequio, non presuppone un inchino o una ...genuflessione. E' solo rispetto: rispetto per chi ha nello "zaino della vita" il vissuto e "a bona creanza" (educazione).