Abbiamo già svelato nel titolo, il significato di "strìa"(strega) e di "calastrìa" (miseria nera). Per dire che fra le due parole c'è attinenza solo nel finale. La "strìa"non era solo la strega delle fiabe (che si dipingeva...brutta e vecchia, coi bitorzoli sul naso e lo sguardo dei dannati), era colei che "faceva le carte"....una specie di megera che gli adulti di allora indicavano per spaventare i bimbi. Non è che quegli adulti, godevano per le loro gesta. C'è che "ghèa naguta in turnu" (c'era nulla per trascorrere il tempo libero) e i ragazzi di allora si immergevano in giochi "inauditi" che bisognavano quantomeno un ...freno. Ecco allora che interveniva la "strìa" che si invocava per portare un tantino di pace, nelle ore del relax.
Ad ogni marachella compiuta, si faceva riferimento alla "strìa" tanto che, quando qualcuno metteva paura a un altro, si diceva "l'à ustu a strìa" (ha visto la strega). Espressione utilizzata per eccesso di paura che rasenta il terrore. La "strìa" però, nessuno l'aveva mai vista; specie alla Festa della Befana che somigliava un po' a questa donna brutta, indesiderabile, fuori da ogni .... desiderio. Da queste parte -poi- nel Dialetto Bustocco si fa molto riferimento alla "strìa" quando si parla dei nomadi o dei rom....sarà per il loro abbigliamento dimesso, le gonne lunghe sino ai malleoli che nascondono tutto....sarà anche per la ....non troppa pulizia... fatto è che è rimasto in uso la parola "strìa"sino ai giorni nostri.
Per la "calastrìa" il discorso è totalmente differente. Si riferisce alla penuria di tempi antichi, quando la gente aveva poco o nulla da mangiare; specie nel tempo delle due guerre mondiali che costrinsero le persone a sacrifici immani. Quindi, non solo miseria-nera, ma assoluta mancanza di cibo che costringeva il contadino o chi avesse un pezzo di terra da coltivare di eseguire il "fai da te" circoscritto a quel poco che la terra potesse dare.
A parlare di fame, da noi è quasi utopistico, ma la generazione del Giusepèn può testimoniare che un tempo, si mangiava molta polenta e si cuoceva pure la buccia delle patate. La "calastrìa" ha mietuto molte vittime, causando pure "ùl mò sitiu" (il male sottile) che nessuno osava dire col suo vero nome, cioè cancro! Chi -allora- ne era intaccato per mancanza di medicine e per fatiche immani, era da considerarsi spacciato....poi, la ricerca, il benessere e la modernità hanno fatto il giusto miracolo. Lo si evince dalla salute delle persone, la loro longevità e l'innalzamento del tenore di vita.
Ci fu -allora- un proverbio che tutt'oggi è ricordato e (forse) nato nei tempi di "calastrìa"e dice così: "mèi sta chi malamenti che 'nda là pulidu" (meglio stare qui "vivere" male o comunque in qualche modo, piuttosto di andare là "morire" in piena salute).
Basta dare un'occhiata alle fotografie in bianco e nero di nonni e bisnonni, sulle lapidi dei nostri Cimiteri. Allora, a 50 anni si era anziani....a 60 vecchi oltre misura....a 70 e oltre, rarità o "pezzi da museo". Da considerare poi, le fatiche di quelle persone, del lavoro a mano, nei campi e nelle fabbriche ....facevano specie le fonderie, dove si respirava terra a tutto spiano e si prendevano le più assurde delle malattie. Sono tempi andati, è vero. Una riflessione tuttavia la voglio fare.
Si diceva che -allora- si mangiava genuino rispetto ad oggi. Che non esistevano le contraffazioni. Che tutto passava più in fretta dal ....produttore al consumatore..... allora perchè si moriva prima e le aspettative di vita arrivavano (si e no) ai 60/65 anni? Forse le ragioni le ho già scritte. E il valore del "sta chi malamenti" è superato e si cerca di procrastinare l' "andalò pulidu" il più tardi possibile.