Tre chicche (cose preziose - cose squisite) sul Dialetto Bustocco. Me le racconta Giusepèn, con una premessa: "magari sui libàr in su non, ma mèn t'à u disu istessu" (magari sui libri non sono citate, ma io te le dico lo stesso).
Eccole in sequenza: "chi s'à vanta dàa so butia, al gha 'na magra marcanzia" - "ul paesàn gurdu, al va'n leciu senza scèna" - "t'àa radila".....tutta "roba" che viene dalla strada; di gente che il Dialetto lo vive, lo esprime, ne fa tesoro....non tanto per qualificarsi; solo per offrire una lezione di vita"appresa e consumata" durante le vicissitudini dell'esistenza.
Cominciamo col "t'àa radila"...detto conciso, riflessivo su cui meditare. Contiene tanti significati morali e una "certezza". Vuole significare che di fronte al "male perpetrato nei confronti degli altri, "devi pagarla", nei tuoi confronti ci sarà la giusta pena, l'equilibrio fra il "peccato" e la sua "conseguenza" si manifesta proprio nel giudizio finale: ad ogni azione, segue una reazione.
Quella del "paesàn gurdu..."è tipicamente contadina. Catechizza un comportamento, un dato di fatto, una realtà e pure un ....ammonimento nei confronti di chi è esoso e che non si accontenta mai. Il contadino "gurdu" (insaziabile) è colui che pretende sempre di più....dal suo lavoro, dalla semina nel proprio campo, dalle pretese....anche del tempo....insomma, un incontentabile.
La conseguenza è tipica: costui "al va'n leciu senza scena" (va a letto senza cenare) proprio per la sua voglia di emergere a ogni costo; di far sapere agli altri che "lui può" a dispetto di tutto e tutti. Invece, la sua "ingordigia"lo porta a "naufragare" ....non "m'è dolce naufragar in questo mare"come dice ...Leopardi, ma dentro il suo egoismo, la sua pervicacia, nell'insistere sui propri metodi che si scontrano con la realtà....sino a perdere il raccolto, a urtare chi gli è vicino, a rendere la vita grama senza una palese ragione.
Quindi "chi si vanta della propria bottega mette in mostra una mercanzia mediocre". Il detto è ....dedicato ai soloni, ai saccenti, a chi "so tutto io ...io leggo...io mi documento" poi si capisce che non è tutto vero quanto si apprende dai libri....senza conoscere la realtà della vita; quella che Giusepèn illustra con gli esempi, le "prove", il proprio vissuto, magari dentro case di ringhiera, in fabbrica e nei campi, col profumo del lavoro addosso, con la fatica da mostrare dentro le rughe del viso, sulle mani, attraverso la pelle callosa e le fatiche dentro gli sguardi.
La "mercanzia mediocre"si traduce nello scarso credito che si ha....certo, chi gli sta vicino deve unicamente "elogiare" l'insegnamento....poi, di fronte a un ....Giusepèn deve unicamente fare scena muta....l'esperienza di vita del Giusepèn vale più d'un'Enciclopedia.... esperienza "imparàa suta a buascia dàa vaca" ....altra chicca, Giusepèn....oggi ti superi. La traduzione del "detto" è un po' volgare, ma è reale....la si può spiegare così: la "buascia" è lo sterco della mucca.... è semplicità, è "cosa" che fanno tutti....animali e persone!
Imparare l'esperienza di vita "lì sotto" è per dire che si è avvezzi ad ogni evenienza, magari triste, forse crudele, piena di sacrifici e di stenti, con la fatica a sorreggere le speranze, per una prospettiva migliore. Imparare a vivere "suta àa buascia dàa vaca" è conoscere il bene e il male, il giusto e l'ingiusto, l'etica, la deontologia, l'Educazione Civica....ecco cosa ci vorrebbe oggi per i giovani (e non solo): imparare l'Educazione Civica....lo stare insieme, l'apprezzare i valori della convivenza (e non la convenienza), essere Cittadini, onorare il Tricolore e il Bene della vita!