C'è un'immagine che non riesco a togliermi dalla mente, nell'ultimo mio viaggio sulla funivia del Mottarone l'estate prima della pandemia e del lockdown. È quella di una bambina, dolcemente abbracciata alla mamma. Non c'è reale paura, in quell'immagine, da parte della piccola: casomai, il naturale istinto di protezione di un genitore, persino quando si è al sicuro.
Quante volte quella funivia ha solcato a distanza il monte che ha fatto parte dell'infanzia e della giovinezza di tanti di noi. Quante volte, se ci siamo concessi un brivido, è giusto per quella sensazione di fragilità che non si può mai ricacciare indietro, fino in fondo. Ma il Mottarone, e il lago Maggiore, quei colori che si abbracciano con una sensazione di eternità, sono casa. E a casa non c'è nulla da temere.
Da bambina, ho percorso infinite volte quel tratto, talvolta anche con la funivia. Molti hanno trascorso le vacanze lì; diversi bustocchi e milanesi hanno le case proprio all'Alpino, e osservano quelle macchie di colore in movimento, prima di rivolgersi al lago.
Quell'estate, viaggiai con il fotografo Daniele Belosio perché volevamo raccontare quei luoghi così vicini, che avevano sempre fatto parte di noi, ma talvolta un po' dimenticati. Città come Busto, città di pianura senza monti né acqua, potevano riversarsi lì e avere tutto a portata di sguardo, quando viaggiare non era ancora così diffuso.
Non lo sapevamo ancora, che quel "vicino" sarebbe stato a lungo irraggiungibile, per un maledetto virus.
Ripercorrevamo oltre cent'anni di storia, quando la funivia non c'era ancora, ma la Nazionale di Vittorio Pozzo, ad esempio, giunse lì sopra grazie al treno, prima di dirigersi ai Mondiali di calcio.
Poi, arriva il progresso che permette di tagliare tempi e fatica. Ci arrampichiamo agevolmente sul monte dove tanti sperimentano anche la prima neve, la gioia di stare insieme nella natura, tavolate di gustosa amicizia. Il tutto, guardando alla dolcezza del nostro lago e intuendo sullo skyline le nostre città che ci attendono.
Al dolore, si affianca così un interrogativo: come può essere successo tutto questo? Ci sentiamo accanto alle vittime, il volto, la storia di ciascuno di loro ci scorre dentro.
Ma come, ci diciamo, noi eravamo a casa, eravamo al sicuro. Eravamo sul nostro lago, che oggi più che mai chiede di non essere abbandonato: sarebbe un'ingiustizia, nell'ingiustizia.
Apprendiamo che l'inchiesta è nelle mani del procuratore Olimpia Bossi, a Verbania. Anche questo è un nome che evoca casa, Busto, e serietà. Ci sentiamo, almeno da questo rassicurati.
Ma questa notte c'è un buio forte, che sembrava difficile poter sperimentare ancora dopo il virus. Appena placata un po' l'emergenza, abbiamo cercato sollievo anche lì, "a casa", dove potevamo essere felici e protetti come ci avevano insegnato durante la pandemia.
E forse ci sentiamo come se non sapessimo più dove andare.