Le "palanche" le utilizzano a Genova. Lo si evince dalla Commedie di Gilberto Govi col suo "baccere, bacciccia, che lenza" divenuto un "mantra" a livello mondiale. Il modo di dire Ligure arriva sino a noi: quante volte (specie i nostri anziani) utilizzavano il termine "palanche" per dare un nome comprensibile a tutti che riguarda i "danè", i soldi. Poi c'è l'altro modo di dire....sempre Ligure, ma più che altro ereditato dai Liguri dalla vicinissima Francia, rappresentato dai "franchi".
Nessuno mai, in Lombardia (tranne che a Busto Arsizio) utilizzava "franchi" al posto di dire Lire. Eppure c'è chi contesta tale tesi, "ereditata" dai Liguri e portata ....alla nostra parlata. Per ogni cifra "al custa centu franchi" (costa cento lire) o "a t'ha egn mila franchi" (ti devo mille lire) si utilizzava quel "gergo"....franchi al posto di lire e ciascuno di qui (Busto Arsizio e dintorni) sapeva qual è il valore economico.
Alle "palanche" poi, affioravano vari distinguo. Ad esempio "parpai" che significa nulla, ma (diciamola) è solo una variante alle palanche. E nessuno mai faceva obiezioni al giusto significato, vale a dire, Lire.
Meglio "berci sopra" a certe critiche inappropriate che giungono da chi "studia poco" e assolutamente, non conosce la "voce della strada"; quella (per intenderc)i da chi è ...nato col Dialetto, vissuto col Dialetto e che del Dialetto fa una ragione di vita. Molto, ma molto differente con chi il Dialetto l'ha mai parlato e si e sempre espresso nella forbita Lingua Italiana. Eppure, Colui non demorde....pensa di essere nel giusto e di umiltà nemmeno vuole sentire parlare. Per dire che? Che chi è "gnu su" (cresciuto) in Dialetto, parla la Lingua Bustocca tramandata dai nonni, dai genitori; molto differente da chi è "nato" in Lingua Italiana, cresciuto in Lingua Italiana e che poi ....molto poi si è "accorto" quali sono le radici della parlata della nostre parti. Vabbe: "cal mangià dul so sin'a candu l'è 'n bona" (mangi di suo sino a quanto ne ha) e la smetta di fare il saccente o di tirare in ballo la Bustocchità (termine non suo....vada a vedere chi l'ha inventato) che nemmeno conosce.
Beviamoci sopra (acqua di fonte, per favore): "scoedi a sedi" è una frase appropriata "buona" per palati fini. Vuol dire (più o meno) "soddisfare la sete" ....bere per necessità. Frase utilizzata da contadini, operai dal lavoro duro, carrettieri, muratori, mentre lavoravano in mestieri durissimi. Per arrivare a "scoedi a sedi" per andare oltre alla bevuta. Nelle Osterie d'un tempo, ciascuno andava a "scoedi a sedi" dopo il lavoro. Ci si incontrava per "quattro parole" prima della cena....oggi si dice ..."socializzare", ma allora, lo "scoedi a sedi" era un ....soddisfacimento a un bisogno e a una maniera per stare insieme.
Si beveva dappertutto del vino.... stava poi all'onestà dell'oste per capire "quale" vino bere: quello con due secchi d'acqua dentro la botte....quello di un solo secchio (sempre d'acqua) dentro l'altra botte e quello "originale" cioè "succo d'uva" correttamente invecchiato.
Vale la pena ricordare, come si pagava il conto "sua dati...quanti parpai?" (cosa ti devo....quante lire?)...."des franchi, un biceu" (dieci lire un bicchiere (sottinteso di vino) e la sosta era servita....poi a casa per un altro lavoro nel pollaio, una visita in giardino, un "salto" in campagna. Le Lire erano per i "sciui", i ricchi e quanti pensano di sapere tutto sul Dialetto " Di ....signori neanche a parlarne!