Quasi mezzogiorno e quasi ora di pranzo. "Candu ga sona 'l companèn, s'à tia su'l cugiò". Lo catechizza Giuseppino "quando il campanile batte il mezzogiorno, si eleva il cucchiaio". Poetico Giuseppino. Il suo modo di dire fa tenerezza, quasi a formalizzare un rito che, dalle parti nostre (Busto Arsizio e zona) ha un valore principale che mette a posto pure le abitudini. Desinare a mezzogiorno, per stabilire una sosta al lavoro sia esso svolto nei campi sia in fabbrica. Le massaie sapevano di preparare il desco a orari precisi, per dar modo alla ripresa del lavoro, di contare sulla puntualità.
Giusepèn mi provoca...."tel se' sa hin chisti chi?" (sai cosa sono queste qua?) e mi piazza davanti "'na basla" (un'insalatiera) di barbabietole in insalata. Mi affascina quel "rosso rumino" quasi "cremisi" della bietola cotta e Giusepèn annuisce. "La muisna 'l bambuèn" altra frase tipica del Bustocco antico: "tiene morbido il pancino" e lo dice in italiano, Giuseppino, per dire che non è necessaria la purga "candu s'à mangia i rabiei" (quando si mangiano le barbabietole) che ovviamente hanno proprietà curative.
Sottolineo la diversità di "articolo" riguardante le bietole: in italiano, la/le bietole o barbabietole; in dialetto "i rabiei" .....al plurale e per giunta al maschile, altrimenti si sarebbe dovuto dire "le ....rabièe" che non esiste. Ne approfitta, Giuseppino per mostrarmi un altro piatto tipico della cucina bustocca: "insalata da punatèra cunt'u erburèn" o pom da tera - francesismo (pomme de tere) portato a noi dai Liguri (insalata di patate con il prezzemolo) che ovviamente è un contorno, specie col lesso, ma pure con ogni altra pietanza. Giuseppino specifica poi la differenza tra "erburen" e "pedarsèn" che, in buona sostanza, significano entrambi "prezzemolo", ma la differenza deriva dal fatto preciso riguardante Sacconago che faceva Comune a sè e che successivamente, venne accorpato (con Borsano) a Busto Arsizio.
Chiedo allora a Giuseppino "m'à l'è 'l menu" (come si compone il menu) -altro francesismo- e lui (quasi con l'acquolina in bocca) "luganiga a rostu" e dice subito "setàs giù ca mangiam insema" (salsiccia arrosto) e (siediti, accomodati che pranziamo assieme). Gli dico che non è possibile nell'immediato, ma che un "dì o l'òal ... a sto chi" (un giorno o l'altro, resto qui).
Per completare l'opera, Giuseppino mi mostra un bottiglione di vino "l'è 'l barbera....lu toi a Caluso in dul paèsan" (è il vino barbera... l'ho acquistato a Caluso (Comune Piemontese) direttamente dal contadino).
Giuseppino suscita qualche ricordo antico; quando molte persone della zona andavano con le damigiane in Piemonte (ma pure nell'Oltrepo Pavese o nel Piacentino) ad acquistare il vino direttamente dal "paesàn" per poi imbottigliarlo a casa a tempo debito (Giuseppino mi illustra "candu a luna l'è bona" - quando la luna è favorevole).
Siamo ai saluti ....ed io "catturo" quello sguardo furbo che Giuseppino espone, quasi fosse un "quadro" degno del miglior pittore. Lo ricambio con un sorriso di cuore, ringraziandolo di essere ... ùl Giusepèn!