Varese - 08 maggio 2021, 11:32

Brucia il faro nella Basilica di San Vittore per la messa in memoria del nostro patrono

Monsignor Luigi Panighetti nell'omelia: «La tragedia della pandemia deve stimolarci a ripartire consapevoli delle dimensioni antropologiche della fragilità, del bisogno di cooperazione, della solidarietà»

Brucia il faro nella Basilica di San Vittore per la messa in memoria del nostro patrono

Si è  celebrata questa mattina nella Basilica di San Vittore, la Santa Messa in memoria del patrono di Varese, celebrata da monsignor Luigi Panighetti alla presenza di autorità e stituzioni: il sindaco Davide Galimberti, il questore Michele Morelli, il comandante dei Carabinieri della provincia di Varese colonnello Gianluca Piasentin e il comandante provinciale della guardia di finanza generale Marco Lainati, il comandante della polizia locale Matteo Ferrario e la Famiglia Bosina. 

Come da tradizione secolare l’inizio della celebrazione delle 11 è stata sottolineata da uno dei riti più suggestivi della liturgia ambrosiana, il rito del Faro, che prevede l’accensione di un pallone di bambagia da parte del sacerdote a memoria del sacrificio del santo che ha donato la propria vita in nome della fede. 

A portare la fiaccola in Basilica sono stato i runner Varese, partiti dal Sacro Monte, hanno percorso correndo 47 chilometri per la città per poi consegnare il fuoco al sindaco Galimberti in piazza San Vittore. 

L'OMELIA DI MONSIGNOR LUIGI PANIGHETTI

L’annuale ricorrenza di san Vittore, Patrono di Varese è occasione per un reciproco riconoscimento dell’apporto che le varie realtà associate e i singoli danno al senso di appartenenza comunitaria e del contributo al progresso della convivenza civile. Tra queste certamente va ricordata la Famiglia Bosina che tiene in modo particolare ad evidenziare questa festa come punto sintetico delle tradizioni, dei costumi e della gratitudine espressa dalla Città.

La celebrazione odierna fa seguito a quella dello scorso anno vissuta in Basilica alla presenza delle sole Autorità in rappresentanza dell’intera cittadinanza. La situazione dovuta alla pandemia è tuttora molto seria e fonte di gravi preoccupazioni su svariati livelli, compreso quello spirituale per cui molti si sentono demotivati, bloccati, quasi incapaci di reagire a causa del timore provocato dalla crudele malattia e dalle complesse conseguenze da essa prodotte. Tra le ragioni di tale affaticamento spirituale è da segnalare il forte e drammatico impatto che siamo registrando a causa di un numero esorbitante di decessi, ormai da molti mesi. 

Tanti di noi hanno perso familiari, parenti, amici, conoscenti a causa dell’infezione dovuta dal virus. Questo provoca dolore, lacerazione, smarrimento, domande. Nel brano che è stato proclamato l’apostolo Paolo ai Cristiani di Corinto e a noi indica un percorso che vuole dare consolazione e speranza. 

Il nostro corpo mortale si vestirà di immortalità. La morte è sconfitta dalla vittoria pasquale di Cristo. «Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?» (1Cor 15,55). Paolo afferma con forza che Dio trasformerà tutti i credenti introducendoli nella sfera definitiva della salvezza che determina la vittoria sulla morte. Ma la fede cristiana non è solo una proposta per l’“aldilà” bensì è salvezza donata e un Avvenimento, una Persona, vero Dio e vero Uomo, che porta nella storia una speranza mai prima sperimentata dagli uomini. Gesù con la sua Pasqua ci chiama ad una vita disposta a mettersi in gioco con Lui e con gli altri.  È da qui che nasce un umanesimo che si riconosce in azione nel divenire storico e sociale, nella cultura e nella vita quotidiana della gente. 

La tragedia della pandemia stimola un periodo di riflessione che chiede di sostituire un modello individualista e globalista che sta mostrando troppe disfunzioni e drammatici effetti collaterali. Si percepisce la necessità di una trasformazione profonda che investa tutta la società civile e parta della coscienza personale del soggetto. Si tratta di ripartire consapevoli delle dimensioni antropologiche della fragilità, del bisogno di cooperazione, della solidarietà. 

C’è un vissuto spirituale da recuperare cosicché sia riconosciuto il ruolo necessario dell’apertura alla trascendenza e lo spirito religioso. I termini, Uomo - Storia - Ragione, che la cultura dalla fine del ‘700 in poi ha usato come sfida verso il Vangelo e la Chiesa devono e possono diventare terreno di incontro con reciproco vantaggio per il Mondo e per la Chiesa. Più che mai è necessario il dialogo, cioè un processo per il quale si impara a vivere uniti, rispettando le diversità. La fede Cristiana intende spingere verso orizzonti di fraternità universale. 

A tale proposito assume un rilievo specifico l’Enciclica sociale di Papa Francesco «Fratelli Tutti» che mette in luce i complicati intrecci di interessi nel mondo contemporaneo, ma evidenzia pure come ogni azione “sociale” abbia una dimensione interpersonale. Del resto è di tutta evidenza un paradosso: da una parte le difficoltà quotidiane della convivenza; dall’altra la crescente consapevolezza della unicità dell'umanità al di là di ogni differenza. L’amore correttamente inteso è innanzitutto avanguardia profetica che rende la vita comune più densa di buon vicinato. 

L’etica pubblica e l'annuncio cristiano in fruttuosa relazione tra loro possono favorire una “amicizia sociale” primo passo per una effettiva rinascita della Città e della Società non solo in termini sanitari, ma anche economici, sociali, culturali e spirituali. Siamo alla vigilia di un appuntamento elettorale che chiederà anche alla nostra Città di esprimersi per decidere chi la amministrerà nei prossimi anni. Ciascuna delle parti che si presenteranno alla cittadinanza e ciascuno dei candidati che ne chiederanno il voto faranno bene se sapranno interpretare le speranze che abbattono le illusioni e dare spazio ai desideri e ai progetti con atteggiamento altruistico, disinteressato, lungimirante, positivo, creativo. 

L’esempio di san Vittore dice ai cristiani di reagire con fede, speranza e carità. Nella sua vita di fede e nel suo martirio il nostro Patrono ha esercitato grandi virtù che comunque sono richieste anche a noi: la fortezza, la giustizia, la prudenza, la temperanza. Tutti siamo impegnati perché alle derive dell'individualismo faccia argine il principio del “dono di sé” che ha valide traduzioni sul piano civile. Non è inutile ricordare che nella loro storia gli uomini hanno proclamato, accanto alla libertà e all’eguaglianza, la fraternità. Questo è il tempo di una rinnovata e robusta fraternità fatta da relazioni vere, personali, in reciproco ascolto e cooperanti.

Valentina Fumagalli

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