Varese - 11 aprile 2021, 08:54

Cosa resta ai 22 ragazzi nella "bolla" all’oratorio di Biumo? «Apertura, amicizia, condivisione, complicità. Da consigliare anche agli adulti...»

Ripercorriamo l’avventura di tredici ragazzi e nove ragazze che esattamente due settimane fa uscivano dalla "bolla" dell'oratorio di Biumo, dopo aver condiviso assieme per venti giorni difficoltà e normalità. Don Gabriele Colombo, responsabile dell’iniziativa e degli adolescenti che vi hanno partecipato, ci racconta i risultati di questa esperienza

Cosa resta ai 22 ragazzi nella "bolla" all’oratorio di Biumo? «Apertura, amicizia, condivisione, complicità. Da consigliare anche agli adulti...»

Avete presente quei programmi televisivi in cui un certo numero di concorrenti sono chiusi in uno stesso luogo per giorni e devono imparare ad adeguare le proprie abitudini, i propri “ritmi” alla vita in comune?

Ecco, fino a due settimane fa, ovvero a domenica 28 marzo, per ventidue adolescenti (e un adulto) questa è stata una realtà, forse l’esperienza forse più particolare della loro vita.

Per tre settimane, infatti, hanno condiviso gli spazi dell’Oratorio Luigi Molina di Biumo Inferiore, si sono rifugiati in una “bolla” per sfuggire alla solitudine che il lockdown ha portato.

Insieme a don Gabriele Colombo, responsabile della pastorale giovanile della comunità pastorale beato Samuele Marzorati, ripercorriamo questo progetto, da un certo punto di vista quasi un “esperimento sociale”, da lui stesso definito «molto valido e affrontato con grande maturità». 

La proposta di uno, l’esperienza di tutti

Tutto è iniziato da un’idea di un ragazzo dell’oratorio: perché non vivere tutti insieme un momento difficile come la pandemia?

Una proposta che ad alcune persone può sembrare folle, soprattutto viste le limitazioni e le regole in atto, ma non a don Gabriele, che ben si ricorda ogni passo del processo burocratico necessario per dare forma al progetto: «Ho raccolto l’idea, ho studiato bene gli allegati dei vari decreti, in particolare l’Allegato 8, relativo alle politiche famigliari, che prevede l’opportunità di attivare, per gli enti del terzo settore, momenti di aggregazione informale, in modo da garantire il diritto alla socialità».

Tra le varie indicazioni, una era adatta allo scopo: la possibilità dei pernottamenti, ovviamente con le dovute norme da seguire. «Siamo partiti da questo, abbiamo verificato con la Prefettura che il protocollo fosse valido anche nelle zone rosse e che non fosse escluso dai provvedimenti restrittivi. Abbiamo aggiunto del nostro, reso l’oratorio una residenza, aggiunto il periodo minimo di 14 giorni, così da renderlo un luogo in cui poter abbandonare i dispositivi di protezioni, varie accortezze in più che rendessero quel protocollo la base per un progetto più originale».

Il progetto è stato, quindi, presentato alla Prefettura, poi sottoposto al Comitato Tecnico Scientifico, da cui è arrivato un riscontro positivo. Il tempo di una ulteriore valutazione di tutti gli accorgimenti ed è arrivata l’autorizzazione da parte della Prefettura.

«I tamponi dei ragazzi erano, per fortuna, tutti negativi, sono stati bravi a rispettare la quarantena preventiva, erano comunque già a casa, tutto è stato fatto a regola d’arte, per cui l’abbiamo vissuta bene e abbiamo dimostrato che, con il rispetto delle regole, è davvero possibile fare qualcosa di originale».

Finalmente, si può cominciare! 

Parola d’ordine: condivisione

È stato un contesto particolare, quello in cui si sono trovati i 13 ragazzi e le 9 ragazze che hanno scelto di prendere parte a questo progetto che, secondo il piano originale, doveva concludersi dopo due settimane (ovvero, dal 7 al 21 marzo) e, invece, ne è durato tre, fino a domenica 28.

Isolati dal resto del mondo ma, al contempo, membri di una “nuova”, i ragazzi hanno dovuto imparare a vivere insieme. «Abbiamo alternato momenti in cui ognuno era da solo, la mattina per le lezioni scolastiche, il pomeriggio per seguire i propri hobby, ad attività comunitarie, come preparare la cena a turno, pulire, piuttosto che organizzare partite di calcio, di pallavolo, avevamo anche un nutrito gruppo di musicisti, tra chitarre, tastiere, un’arpa, un basso», racconta don Gabriele, rivivendo nelle mente quelle giornate così ricche e piene di emozioni.

«Più che imparare – prosegue con orgoglio – sono cresciuti, quello che abbiamo sperimentato in un progetto di questo genere è stato un accrescimento della fraternità, dell’amicizia, con la guida, certo, da un adulto. Li ho visti maturare nella condivisione della giornata con gli altri, nell’aiuto reciproco durante lo studio (frequentavano tutti il terzo, quarto anno delle superiori), vivere sotto lo stesso tetto implica fare attenzione alle piccole cose, alle pulizie, ai vestiti da lavare, ai pasti da cucinare. I ragazzi sono cresciuti nel senso che hanno saputo condividere con chi era accanto a loro un obiettivo, realizzandolo con creatività e originalità».

Originalità che si trova nella situazione stessa che i 22 adolescenti hanno deciso di vivere, quasi paradossale, se ci pensiamo, soprattutto in un momento come quello attuale, in cui nessuno comunica più di persona. Un esperimento “al contrario”, insomma, in cui, invece di allontanarsi, ci si avvicina. È stata una riscoperta di una normalità quasi dimenticata, «dopo il quinto giorno, quando abbiamo abbandonato gli strumenti di protezione, siamo tornati a una realtà che ci sembrava, ormai, sconosciuta».

Un altro aspetto interessante è stato l’atteggiamento dei ragazzi, di apertura, di disponibilità, di condivisione, la sfida di vivere insieme è stata accolta bene e le giornate sono state piene di momenti divertenti, dal blocco della lavatrice, ai tipici incidenti di cucina (a chi non è capitato di preparare un piatto insipido?). «Non ci sono state difficoltà, me ne sono stupito io per primo, anche se, verso la fine, abbiamo avvertito un po' di stanchezza e questo ci ha fatto capire che tre settimane erano una tempistica giusta», riflette Don Gabriele.

L’avventura è finita. Adesso, è ora di raccontarla

«Abbiamo scelto di non rendere pubblica questa esperienza attraverso i social ma abbiamo pensato, invece, di creare un blog per raccontarla in modo “tradizionale”, così i ragazzi potranno mantenere il ricordo di quello che abbiamo vissuto»: questo è il prossimo passo che il parroco e gli adolescenti vorrebbero intraprendere, anche a fronte delle richieste di altre realtà, interessate a conoscere in modo approfondito il progetto per valutare di proporlo a loro volta.

Don Gabriele non è sicuro di poter ripetere l’esperienza: «Se la Lombardia tornerà in zona arancione, non si prospetta un tempo sufficiente per riproporre il progetto, ci vorrebbero almeno due settimane, in caso contrario ci penseremo, coinvolgendo un’altra fascia d’età, tutto dipende dal verificarsi delle condizioni per cui il progetto possa applicarsi».

Al tempo stesso, è orgoglioso di aver vissuto questa sfida, nonché molto colpito dalla maturità dei ragazzi, «è un progetto che consiglio di fare anche agli adulti, è un’esperienza molto valida, sarebbe bello coinvolgere le famiglie che stanno vivendo a casa, non hanno esigenze di uscire e vogliono condividere questa avventura con i ragazzi, è una realtà sempre allargabile e passibile di miglioramenti, si può vivere in tante forme».

«Ciò che conta – conclude il don – è essere sempre disponibili verso gli altri, chi partecipa deve essere pronto ad affrontare alcune fatiche che la vita comune implica e a crescere, insieme e per le persone che ci sono accanto».

Giulia Nicora

TI RICORDI COSA È SUCCESSO L’ANNO SCORSO A GIUGNO?
Ascolta il podcast con le notizie da non dimenticare

Ascolta "Un anno di notizie da non dimenticare 2024" su Spreaker.
SU