Busto Arsizio - 09 marzo 2021, 11:32

Un anno fa in trincea contro il virus. Il dottor Corio: «Increduli ma pensando sempre a proteggere personale e pazienti»

La malattia, l’amico Stella, la lotta alla pandemia oggi nelle parole di Marino Corio. Un anno fa venne ricoverato per Covid, due giorni dopo l’indimenticato collega. «Il nostro contagio rese tutti consapevoli della pericolosità del virus. Il modo migliore per ricordare Roberto è non vanificare con i nostri comportamenti il suo sacrificio»

Il dottor Marino Corio

Il dottor Marino Corio

Esattamente un anno fa, le misure di contenimento introdotte due giorni prima in Lombardia venivano estese a tutta l’Italia. L’onda del coronavirus si era trasformata in uno tsunami. In prima linea, medici e infermieri combattevano quella che allora, per conoscenze e strumenti a disposizione, era una battaglia impari.
A un anno di distanza, il dottor Marino Corio ricorda quei giorni in cui «con stupore e meraviglia osservavamo quello che stava accadendo». Corio, come molti colleghi medici di base, si trovava in trincea al fianco dei suoi pazienti. L’8 marzo verrà ricoverato con i sintomi del Covid, a distanza di due giorni dal suo indimenticato collega e amico Roberto Stella, con cui condivideva, insieme ad altri, lo studio ambulatoriale in via Cadorna a Busto Arsizio.

La malattia e le voci incontrollate sui social

«Eravamo increduli di fronte a quello che ci stava accadendo. Consci che si trattasse di qualcosa che non avevamo mai affrontato, ma assolutamente inconsapevoli della gravità del problema». Così il dottor Corio ricorda i giorni a cavallo tra febbraio e marzo dello scorso anno. «Io stesso, come altri colleghi, cominciavo a non stare bene. Mi confrontavo con le direttive che dicevano che dovevamo rimanere sul campo. Inevitabilmente c’era dell’impreparazione. Avevamo pochi dispositivi di protezione: le mascherine, per esempio, erano più facilmente reperibili nell’antinfortunistica».

In quel contesto, il personale non medico del poliambulatorio viene messo in protezione e l’accesso ai pazienti limitato il più possibile. Il 6 marzo, Corio invita il collega Stella a farsi ricoverare. Prima a Busto, poi verrà trasferito a Como. Il giorno 8 lo stesso Corio viene ricoverato.
Nel frattempo, mentre il poliambulatorio viene chiuso, le notizie sui due medici iniziano a circolare senza controllo e senza pudore su Facebook e in migliaia di messaggi su WhatsApp, tanto che anche il sindaco Emanuele Antonelli è costretto a intervenire.

«Sui social i medici del nostro studio erano diventati gli untori – ricorda con rammarico Corio –. In realtà, a marzo nessuno fra i nostri pazienti è stato contagiato».
La fuga di notizie, peraltro imprecise, lo raggiunge mentre si trova ricoverato in area Covid, aggiungendo ulteriore preoccupazione in un momento evidentemente delicato. Sempre qui, una telefonata del figlio lo avviserà che Roberto Stella, l’amico di una vita, non ce l’ha fatta.

L’esperienza in ospedale e il ritorno in ambulatorio

«Il nostro contagio, avvenuto in maniera così drammatica, ha avuto come unico aspetto positivo, se così si può dire, quello di rendere le persone consapevoli della pericolosità del virus», afferma il dottor Corio. Il medico è stato ricoverato dodici giorni, spesso con la maschera dell’ossigeno. «Il personale paramedico – racconta – è stato sottoposto a un tour de force incredibile. Ogni contatto con il paziente richiedeva una vestizione e svestizione in un’area filtro. Era difficile, anzi impossibile poter accedere continuamente a tutti i pazienti nella maniera auspicabile. All’inizio sono stato ricoverato con una persona giovane, poi con un uomo anziano agitatissimo, che spesso si strappava l’ossigeno, e allora intervenivo direttamente». Anche nei giorni di ricovero, insomma, non ha mai smesso di essere un medico.

«Sono stato poi dimesso in condizioni dignitose, ma non stavo bene. La tac che ho fatto una volta uscito era peggiore rispetto a quella in ingresso. A quel punto ho usato il cortisone, mentre alcuni colleghi mi dicevano che sbagliavo. Ora viene usato anche in fase precoce. Non è che sia stato più bravo di loro, è stato un tentativo. Oggi ne sappiamo di più perché abbiamo imparato strada facendo».

A inizio aprile, quando le condizioni di salute glielo consentono, Corio torna al lavoro. «La situazione era pesante, ma in un momento di difficoltà per lo studio, alcuni colleghi in pensione ci hanno aiutato».

La lotta al virus oggi

«Purtroppo siamo ancora qui a ragionare in termini di lockdown o cromatismi – osserva il medico –. Il periodo più critico per i contagi è stato quello tra ottobre e novembre, e ora la sensazione è che stiano ripartendo. Oggi abbiamo più conoscenze per quanto riguarda la diagnosi sul territorio e la terapia. Ci è chiaro quali strategie è utile mettere in campo e quando. A distanza di un anno, però, questa malattia è orfana di una terapia vera e propria, e ci affidiamo a terapie di supporto».

Rispetto alle prime fasi della pandemia, però, ci sono i vaccini. Uno strumento fondamentale, anche se accompagnato da problemi per l’approvvigionamento. E comunicativi, dice Corio: «La comunicazione ridondante rischia di essere controproducente. Manca una strategia chiara, ferma, univoca. Ad esempio, va somministrato il vaccino a chi si è ammalato? Ci sono pareri discordanti e organizzare una vaccinazione di massa risulta più “semplice”. Ciò espone a qualche critica, ma sono uno strumento importante».

Da parte dei cittadini, critiche e perplessità – alcune comprensibili, altre meno – in effetti non mancano. «La gente è stanca – riconosce Corio –. Questa è una malattia strana. Chi l’ha vissuta in maniera aggressiva ne sente ancora adesso il peso. Chi non l’ha contratta o l’ha superata in modo semplice ritiene che la prevenzione sia esagerata. I casi pesanti, però, ci sono ancora».

Il ricordo e il testimone di Roberto Stella

Tra due giorni ricorrerà il primo anniversario della morte di Roberto Stella. «Il modo migliore per ricordarlo – afferma Corio – è non vanificare con i nostri comportamenti il suo sacrificio». I due non erano semplici colleghi: «Eravamo amici da una vita. Ci siamo conosciuti nel ’78, quando frequentavo il quinto anno di medicina. Da allora abbiamo sempre lavorato insieme, prima in ospedale da tirocinanti, poi, dall’84, nello stesso studio. Roberto mi ha anche sostituito quando ho fatto il militare. Avevamo un rapporto molto stretto, era un vero amico», racconta commosso.

È un dolore senza fine quello per la sua scomparsa. Ma senza fine è anche l’attenzione e la cura per i pazienti da parte del dottor Stella. Sarà il figlio, il dottor Massimo Stella, a riservare questa cura a chi ne ha bisogno: «Massimo ha iniziato la scuola di specialità – spiega Corio –. Nei mesi scorsi è venuto ad aiutarci nella campagna antinfluenzale. Era al mio fianco, è stata un’esperienza molto bella».

Riccardo Canetta

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