C’è una squadra che gioca e si allena tra le mura della Casa Circondariale di Busto Arsizio. Una squadra che, come ha scherzato il suo allenatore Gian Marco Duina, ha un solo difetto: quest’anno non ha ancora perso. Ma la vittoria più importante, qui, non si conta nel numero di gol. Si misura nella capacità di fare gruppo, di rispettare le regole, di ritrovare l'autostima e di costruire, partita dopo partita, un ponte con il mondo esterno.
È questo il cuore del progetto “Liberamente Sportivi”, presentato ufficialmente stamattina all'interno dell'istituto penitenziario di via per Cassano. Un’iniziativa che si inserisce in un contesto complesso: la Casa Circondariale di Busto Arsizio ospita stabilmente oltre 400 detenuti, con una popolazione eterogenea composta da giovani adulti e stranieri, vivendo una condizione di sovraffollamento che rende ancora più urgente l’attivazione di percorsi di trattamento alternativi e inclusivi. È qui che lo sport diventa uno "strumento di cambiamento, dignità e reinserimento sociale".
Il progetto, nato nell’ambito del programma nazionale “Sport di Tutti - Carceri”, promosso dal Dipartimento dello Sport del Consiglio dei Ministri con Sport e Salute, ha trovato a Varese un terreno fertile grazie alla collaborazione tra la direzione del carcere, il Csi Varese come ente capofila, la Cooperativa Sociale Intrecci e l'associazione Altro Pallone. Alla conferenza stampa erano presenti, tra gli altri, anche Redento Colletto, vicepresidente del Csi Lombardia, e Gian Luigi Dones, presidente dell'Osgb Caronno Pertusella, una delle società sportive coinvolte.
La visione del carcere: «Uno strumento educativo fondamentale»
La direttrice della Casa Circondariale, Maria Pitaniello, ha inquadrato il valore profondo dell'attività sportiva, ben oltre la semplice ricreazione: «Avere in carcere tante associazioni sportive significa disporre di un importante strumento educativo. Perché lo sport è qualche cosa che fa bene all'umore, fa bene anche al fisico, alla persona dal punto di vista sanitario. È qualche cosa che influisce sul benessere psicofisico di una persona, rende più autonomi, alimenta il senso di autostima».
Per la direttrice, il contesto penitenziario amplifica ulteriormente questi benefici. «Calato in un contesto specifico quale quello di un istituto penitenziario, ha un ulteriore risvolto, perché incide sulle relazioni sociali. Lo sport di squadra, rendendo possibile l’incontro di culture diverse, aumenta anche all’interno la relazione sociale e soprattutto il rispetto reciproco».
Un punto, quest’ultimo, su cui Pitaniello ha insistito con forza: «Un altro aspetto particolare dell'attività sportiva, che ne sottolinea l'importanza, è che soprattutto in un gioco di squadra si lavora ulteriormente sul rispetto delle regole: rispetto delle regole di gioco, rispetto dei propri compagni di squadra, ma rispetto anche della squadra avversaria».
I partner: una rete per superare le barriere
Il progetto vive grazie a una rete di collaborazione solida e motivata, che vede il Csi Varese nel ruolo di capofila. Il presidente Diego Peri ha raccontato come è nata la partnership. «Quando c'è stata l'opportunità di partecipare come capofila al progetto, dopo l'esperienza bella e positiva che abbiamo vissuto con tante nostre società che si sono rese disponibili - tra cui l'Osgb Caronno Pertusella, l'OltreSempione Legnano e la Polisportiva San Paolo Sciarè di Gallarate - abbiamo detto: ok, ci siamo».
Il progetto “Liberamente Sportivi”, oltre a un calendario continuativo di allenamenti di calcio, include attività alternative come gli scacchi e guarda anche al "dopo", al reinserimento. «Tra le iniziative c’è la realizzazione di un corso per arbitri ufficiali di calcio a 7, con l'ottica che un domani, uscendo, i ragazzi possano trovare una strada anche in questo ambito. Vogliamo creare una rete tra le associazioni per sensibilizzarle al tema, cancellando quei pregiudizi che ci possono essere e, perché no, accoglierli un domani nelle loro squadre».
A rappresentare Sport e Salute, braccio operativo del Governo, è intervenuto Francesco Toscano, coordinatore per la Lombardia. «Sport e Salute è una società del Ministero dell'Economia e delle Finanze che si occupa di tutto lo sport sociale, lo sport di base e lo sport nelle scuole. Stiamo investendo molto, sia nelle carceri sia nei quartieri a rischio e sull'integrazione».
Nel prossimo futuro, grazie al contributo arrivato da Sport e Salute, nasceranno anche squadre di basket e pallavolo con l'installazione, all'interno del carcere, delle attrezzature necessarie. L'obiettivo di tutti è quello di coinvolgere più detenuti possibili per poter agevolare il loro percorso di reinserimento nel mondo al di fuori del carcere.
Il lavoro sul campo: tra pedagogia e metafora di vita
Il successo dell’iniziativa dipende dal lavoro quotidiano di chi opera a diretto contatto con i detenuti. Natalia Nicolosi, funzionario giuridico pedagogico del carcere e referente delle attività sportive, è stata una delle anime promotrici. La Cooperativa Intrecci, con la coordinatrice Sabrina Gaiera e l’agente di rete Noemi Collesi, segue i ragazzi nel percorso educativo. «La nostra cooperativa partecipa al progetto attraverso interventi educativi finalizzati al sostegno individuale e alla promozione di un clima di collaborazione», ha spiegato Gaiera. «Il calcio, nella sua dimensione della squadra, consente a ciascuno di trovare il proprio spazio, mettendo a disposizione risorse personali. Questo meccanismo virtuoso si trasla, con l'intervento educativo, nella quotidianità».
A tradurre questi principi in schemi di gioco, passaggi e tiri in porta è l'allenatore Gian Marco Duina dell'associazione Altro Pallone. Le sue parole sono state un concentrato di passione sportiva e profondità educativa. «Come allenatore, il mio ruolo è quello di garantire il raggiungimento degli obiettivi che la direttrice ha esplicato: obiettivi educativi, di benessere psicofisico, di rispetto. Lo facciamo attraverso il calcio perché il calcio garantisce, e il mio obiettivo è questo, che i ragazzi comprendano il calcio come metafora della vita».
Allenamenti e una partita al sabato. Dopo l'esperienza della scorsa “stagione sportiva”, dove i ragazzi del carcere sono stati sopravanzati solo da una delle altre quattro squadre iscritte (tra cui anche il Real Busto), nei prossimi mesi partirà un nuovo torneo, a invito, che coinvolgerà squadre del territorio che ne faranno richiesta. Ogni quindici giorni, intanto, la squadra del carcere affronta in amichevole formazioni di varia natura, tra società sportive e rappresentative di vario genere. Fino a ora, è giusto sottolinearlo, nessun problema è avvenuto durante i match, a dimostrazione della volontà di tutti di fare un percorso virtuoso verso la “redenzione”.
Per Duina, il campo da gioco è una scuola per imparare a distinguere le alleanze positive da quelle negative. «Fondamentale è, ancor prima di imparare l'importanza del gioco di squadra, identificare la propria squadra nella vita, avere in mente qual è l'obiettivo e quali sono i compagni che ci avvicinano a quell'obiettivo e chi sono quelli che ci allontanano, gli avversari».
Ma l'aspetto cruciale, ha sottolineato il coach, resta la responsabilità individuale. «C'è una squadra che ci aiuta, ci sono i compagni che vi passano la palla, ma come dicevamo l'ultima volta, davanti alla porta il gol lo dovete segnare voi. La decisione finale sul cambiamento, sulla presa in mano della propria vita, è individuale, non può essere appaltata a nessun altro».
Un concetto riassunto nel motto stampato sul colletto delle maglie della squadra: «Nessuno si salva da solo». Un promemoria costante che, pur essendo la scelta finale personale, il percorso di rinascita è un gioco di squadra, dentro e fuori dal campo.