Ieri... oggi, è già domani - 13 agosto 2025, 06:00

A mata dul falcian - La matta del “falcian”

Non lo so cosa significa “falcian” che ci suggerisce mamma Paola, ma suppongo sia un soprannome o qualcosa di simile. Tuttavia, ne scrivo l'esempio...

Non lo so cosa significa "falcian" che ci suggerisce mamma Paola, ma suppongo sia un soprannome o qualcosa di simile. Tuttavia, ne scrivo l'esempio, così come mamma Paola ricorda. "Ti uì" (ehi tu) detto confidenzialmente, "smorza chela televisiòn, i usan tuci me'i strascèe" (spegni quella televisione; urlano tutti come straccivendoli) - "ghe gnu foea una ca la usea, e la sumèea a mata dul falcian" (è apparsa una donna che gridava e somigliava alla matta del "falcian").

"chel cal parla mo' al sumea a'n lifrocu, cheloal al suguta a ridi men martalosciu" (quello che parla ora, somiglia a un giugierellone, l'altro, continua a ridere come un "fuori di testa", un cretino, insomma) - "ma fan gni ul mò da co" (mi fanno venire il mal di testa) - "na oelta, ghea bei trasmissione... mo, un dumò parlò e verdi buca, foea paòl" (una volta, c'erano belle trasmissioni, adesso solamente parlare e aprire bocca per far uscire le parole).

"a cà mia" (a casa mia, ricorda mamma Paola) "ghea dumò a Radiu Londra, in tempu da guera e'l me po’ ma lu fea sentì e... gheu pagua" (c'era solo Radio Londra, in tempo di guerra e mio padre, me la faceva ascoltare e... provavo tanta paura). "candu ghe gnu i primi televisione, s'andea a vedela al Bar" (quando sono arrivate le prime televisioni, si andava a vederla al Bar) e qui, mamma Paola, si illumina e rende noto un ricordo bellissimo, anche per chiarire quanta "forza e potenza di condivisione, ha la televisione". 

Andava in onda lo sceneggiato "Tormento del passato" e "a tusetta prutagunista, l'ea Raffaella Carrà e la ghea vot'ann e la sa ciamea Graziella, te capì? (la bimbetta protagonista, era Raffaella Carrà e aveva otto anni e si chiamava nello sceneggiato, Graziella, capito?) - "dopu des ann u cugnussu ul me Puricelli, s'a parleam e ma sem spusoi e dopu'n ann ghe nasu a me Graziella, propri par chel nom lì cal'ma piasea" - (Arriva Giusepèn) - ANNUISCE, SORRIDE ADAGIO... mamma Paola le è simpatica. Vorrebbe "non dire", ma la sua testimonianza è sempre efficace, mai inopportuna, ma Giusepèn ci tiene a dire (e a difendere) il Dialetto Bustocco da strada che sta morendo. 

La perdita sarebbe "colpevole" - non si può andare a vivere una Parlata intrisa e intrusa di parole copiate dal "milanese", dall'italiano, da talune espressioni imparate per avere studiato prima l'italiano, poi vissuto l'unica Lingua conosciuta prima di frequentare le Scuole Elementari. La differenza dell'apprendimento, sta qui: chi è nato Bustocco conosce il "volgare" che è l'autentica Lingua appresa in casa - chi invece ha studiato prima in italiano, poi in Bustocco, non può fare a meno di "socializzare" secondo i canoni delle Leggi di Stato - intanto, il "Bustocco" muore; non lo dà a vedere, ma all'anagrafe, di fronte a circa 84.000 residenti, di Bustocchi "nativi e lavativi" (cioè nati a Busto Arsizio, da genitori e quattro nonni, nati a Busto Arsizio), ormai (è la parola che odio tantissimo), se ne contano meno di mille.

Sia detto per inciso, morto io (e quel che resta della mia generazione), il BUSTOCCO diverrebbe una "chimera" e, come ebbe a dire, Alessandro Manzoni, "triste è dire, io fui" e, anche qui ci vuole un detto nostro "galantòm a uì muì?" (gentil'uomo vorrebbe morire?) "par forza, ga egn su pu'l fiò" (per forza, non arriva più il respiro) e, come recita un ritornello... "sarà quel che sarà". Game-over (dicono i moderni) c'è spazio per un'altra partita!

Ora, un sorso di Nocino, aiuta Giusepèn a schiarire la voce e me, a mortificare il silenzio!

Gianluigi Marcora