Calcio - 03 luglio 2025, 07:38

Varesina, anno zero ma stessa ambizione: «Più giovani e legati a noi per più anni. Per non perdere ogni volta i migliori, costruiamo qualcosa che rimane»

Il direttore generale Massimiliano Di Caro, il settore giovanile che ha vinto tutto e l'inizio di un nuovo ciclo con la prima squadra: «Ringiovanire con contratti almeno biennali non significa essere meno forti. L’obiettivo è colmare il gap con i club più ricchi, non imitando il loro modello ma proponendo un’alternativa. Ci giochiamo l'obiettivo non con il budget, ma con il lavoro e una visione. L'ultima stagione è girata su due sliding doors. Il ritorno simbolico di Grieco. Non si può dare per scontato che qui sia facile o scontato che Bertoli faccia 25 gol in una stagione: forse, dietro c'è anche qualcuno o qualcosa...»

IL BACIO DELLA VARESINA - Max Di Caro bacia nonna Ebe dopo il gol della promozione in Eccellenza: lo spirito e l'identità della Varesina restano intatti, impossibili da tradire per chiunque, e sono racchiusi in questa immagine di Enrico Scaringi

Qual è la prima cosa che un tifoso o un genitore di un ragazzino che vuole giocare a calcio in Italia chiede a una società in un mondo in cui basta un presidente sbagliato o un mercenario di troppo perché perfino una salvezza conquistata sul campo si trasformi immediatamente in fallimento come appena accaduto al Brescia o che una retrocessione equivalga a scomparire come insegnano Varese, Reggina, Modena, Vicenza, Cesena, Avellino, Piacenza, Trapani, Chievo e tante altre? A nostro avviso una soltanto: l'affidabilità. Cioè: fiducia nelle persone. In un proprietario, in un presidente, in un direttore. Nella "mia" squadra o nella squadra in cui si diverte o prova a diventare grande "mio" figlio, o "mia" figlia, perché so che è in buone mani. Come accade alla Varesina che, 15 anni dopo la sua nascita, è diventata nell'ultima stagione la società lombarda più vincente a livello giovanile (tutti i campionati vinti con tre titoli regionali) e che, da due anni, sfiora la promozione in serie C con identità e uomini diversi: seguendo la sua strada, che non è quella del budget - se non quello investito su strutture, staff e persone rispetto a chi spende tutto sul mercato - ma del lavoro. Anche quando si chiude un cerchio per aprirne un altro. Fatto di giovani e contratti più lunghi: per non farsi portare via ogni anno i giocatori scovati, rilanciati o esplosi dal vivaio. Stessa specialità della casa (la visione), stesso coraggio, stessa capacità di esaltarsi nei cambiamenti e nelle difficoltà. Insomma, stessa Fenice.

Max Di Caro, partiamo dal basso e cioè dall'alto del vostro settore giovanile: è negli uomini o nella filosofia il segreto?
«Negli uomini che rispecchiano al 100% la nostra filosofia. Prendiamo Millefanti e Masini: il primo gestisce tutta l'organizzazione generale ed è un po' il mio alter ego del vivaio, il secondo è il direttore sportivo dell’agonistica, fondamentale nella scoperta di nuovi talenti. Entrambi sono fortemente radicati sul territorio e apprezzati anche dall’esterno, con riscontri positivi anche insoliti per ruoli non tecnici, ma meritati. E formano una squadra affiatata con Belluzzo, Pierangelo Farinazzo, Barisoni, Fiumicelli, Patti, Cazzullo, Castelli, Tomasini, Eleonora Farinazzo, Malvestito, Trecroci, Franzin e Maiolo (responsabile del nuovo settore femminile). Persone di fiducia, strategicamente rilevanti e di grande valore umano con lo "stile Varesina" cucito addosso: rappresentano il nostro marchio di fabbrica. La continuità dirigenziale è più importante di quella dei giocatori, e lo dico senza nulla togliere a quest'ultimi, che sono fondamentali». 

Come si uniscono grandi risultati a belle persone?
«La stagione 2024-25 è stata la migliore di sempre per la Varesina a livello giovanile, con risultati paragonabili solo all’Alcione in Lombardia negli ultimi 10-12 anni: abbiamo vinto tutti i campionati (Under 14-15-16-17) e tre titoli lombardi (Under 14-16-17). Ma se vincere fa piacere, dà visibilità e avvicina i giovani - oltreché pubblico: sono rimasto impressionato dalle 1.000 persone per la finale dell'Under 14 - fa ancora più piacere il resto. E cioè misurare la crescita dei ragazzi anche sotto il profilo psicologico e umano, non solo tecnico. Obiettivo principale: formare persone migliori attraverso il calcio, non solo ottenere risultati sportivi. E fare in modo che chi va via dalla Varesina abbia sempre un bel ricordo di noi. Per il 2025-26 puntiamo a far giocare più ragazzi “sotto età” per accelerarne la crescita, privilegiando sviluppo e qualità organizzativa rispetto alla sola vittoria». 

Novità?
«Abbiamo avviato il progetto femminile e sono già previste 60 ragazzine all'open day di questi giorni che nel maschile accoglie i nati dal 2011 al Progetto Kids e nel femminile le annate dal 2007 al 2018. L’iniziativa è stata avviata solo dopo aver trovato le figure giuste, coerentemente con la filosofia di fare le cose con cura e metodo».

Prima squadra: avete toccato con mano due volte il cielo della C e siete tornati sulla terra. Perché?
«L’annata era iniziata con ambizioni più alte rispetto a quella precedente, grazie a una rosa allungata nonostante sette undicesimi passati ai professionisti o in altre società. Due momenti chiave, come "sliding doors", hanno segnato la stagione tra sfortuna, infortuni e nostre mancanze. Il primo: l’infortunio del portiere Chironi a Palazzolo, dove tra l'altro fummo raggiunti da un gol di mano, ha lasciato un "vuoto" difficile da colmare in spogliatoio visto che stiamo parlando di un giocatore che tutti volevano avere nella propria squadra anche in partitella, e poi la mancata reazione nella sfida successiva contro l’Arconatese ultima in classifica. Il campionato lo abbiamo perso lì. Secondo momento critico: la sconfitta con il Chievo e la reazione della squadra che ci ha riportato di nuovo incredibilmente in corsa prima della mazzata e del secondo contraccolpo psicologico di Crema (eravamo 1-0 e primi a fine primo tempo, alla fine siamo tornati a -5). Nonostante le difficoltà, è stato un campionato di altissimo livello, con le prime sei squadre in grado di vincere. Piazze importanti come Chievo e Sant’Angelo ci sono finite dietro e se il bilancio è meno straordinario dell'annata precedente perché sulla carta avevamo una squadra più forte, è comunque positivo»

C'è qualcosa impossibile da digerire?
«Sì, dare per scontato che alla Varesina sia facile o scontato che Bertoli faccia 25 gol in una stagione e che esploda. Forse, dietro c'è anche qualcuno che ha creduto e visto in lui grande potenziale, e qualcun altro in panchina che dagli attaccanti ottiene sempre ottimi risultati».

Cosa accadrà nella prossima stagione?  
«Sarà un po' un “anno zero” senza pezzi da novanta come Guidetti, Gasparri e Cosentino, giocatori da cui ci siamo separati con il cuore che sanguina e che resteranno sempre "uomini Varesina". Insieme al direttore sportivo Damiano Micheli (tutte le decisioni sono condivise con lui) abbiamo pensato di porre un po' di paletti e che fosse il momento di accettare una nuova sfida, motivante per tutti e capace di farci dare il 110%: ecco perché ringiovaniamo la rosa con giocatori massimo di 27-28 anni e cambiamo ciclo, pur restando ambiziosi e legando i nuovi acquisti con contratti almeno biennali per costruire valore e dare stabilità. Vorrei costruire qualcosa che rimanga e ci eviti di continuare a soffrire perché giocatori forti appena esplosi se ne vanno. L’obiettivo è colmare il gap con i club più ricchi, non imitando il loro modello ma proponendo un’alternativa, andando a cercare e valorizzare come sempre giocatori che altri non vedono. Tenendo conto che la Varesina preferisce investire su strutture, staff e persone rispetto a spendere tutto sul mercato. E che vuole arrivarsi a giocare l'obiettivo non con il budget, ma con il lavoro e una visione. Quello, insomma, che mi ha sempre insegnato mio padre in azienda. Essere più giovani, poi, non significa essere meno forti».

Andiamo sul mercato: chi rimane e chi torna?
«Rimangono punti fermi come GhioldiRosaMiconiSassi e Pirola. E c'è il ritorno di un giocatore importante: Roberto Grieco (classe 1997) ha fortemente voluto rientrare, è il simbolo della voglia di essere un punto fermo della Varesina e fare la differenza con noi. Cerchiamo profili fisici, atletici, motivati, in grado di reggere un lavoro più impegnativo dentro un disegno tecnico e tattico. L'età ideale? Sotto i 28 anni, anche se esistono possibili eccezioni. Puntiamo a gioventù, freschezza e disponibilità verso il progetto». 

Perché Ferrara direttore tecnico?
«Ha esperienza, non cerca visibilità, è un valore aggiunto e può completare la crescita dello staff. Ha feeling e si incastra perfettamente con Damiano Micheli, il primo a cui ho parlato di lui - che già lavorava con noi a livello di scouting - e il primo a essere convinto che questa novità potrà dare il tocco in più e quella parola giusta a tutti, anche al sottoscritto, soprattutto nei momenti difficili».

Ieri si sono separate le strade con il portiere Chironi. E tra i confermati non ci sono ancora giocatori importanti dell'ultima rosa...
«Diamo grande valore all’identità societaria: chi rappresenta la Varesina deve credere profondamente nel progetto e metterlo davanti a tutto. Il nostro approccio è chiaro: se vuoi stare alla Varesina, dimostralo con i fatti. Solo con questa motivazione feroce colmiamo la distanza con chi spende più di noi».

A volte avete dato l'idea di abbattere Golia e di fermarvi davanti al piccolo Davide...
«Un po' dev'essere perché la Varesina è rappresentata dalla Fenice, che riprende fuoco e rinasce quando la danno per caduta o sconfitta. Forse è vero che ci esaltiamo se è più difficile e lo facciamo meno quando appare più semplice. Può esserci mancata un po' di quella capacità di gestione, anche mentale, quando la strada iniziava a scendere che invece abbiamo avuto nella cavalcata del ritorno in serie D, ma non direi che ci manca regolarità al vertice: abbiamo già detto cosa ci è successo nelle partite chiave di quest'anno... Vorrà dire che l'anno prossimo correremo il doppio per non fermarci mai. Di sicuro quando c'è stato da tirare fuori le unghie, lo abbiamo sempre fatto».

È più facile o difficile ripartire ogni anno da Marco Spilli?
«Per me è facile: dopo che gli abbiamo fatto un triennale, ancora di più. L'unico anno in cui è stato messo in discussione siamo retrocessi e ancora oggi mi rimprovero quell'errore. Lui ha partecipato in pieno a ogni risultato positivo e a ogni decisione tecnica della nostra società. Ha gestito sempre bene le rose messe a disposizione e, poi, dovrei ripetere quello che ho detto su Bertoli: non cadono dal cielo i suoi 25 gol. Ogni anno cambiano le pedine, ma l'identità è chiara e forte: chissà perché».

La difficoltà che pesa di più?
«Crescere un talento dal basso, gradino dopo gradino, e non riuscire a trattenerlo. Se vinciamo campionati regionali come gli ultimi, i nostri giovani hanno addosso gli occhi di tutte le squadre professionistiche ma, se sei in serie D, non hai i mezzi per combattere, se non fidarti della parola data alla Varesina: in C cambierebbe tutto, lì il settore giovanile è anche un motore economico grazie agli incentivi sui minutaggi (400% se giochi coi tuoi giovani). Alcuni talenti sono rimasti sotto traccia e questo ha aiutato ad averli ancora con noi. La Varesina punta a integrare sempre più giovani in prima squadra, ma servono tempo, lavoro e un pizzico di fortuna. Il mio obiettivo è questo: credere nei nuovi Sali, capire che un giorno potranno fare la differenza e vederli approdare ai professionisti dalla porta principale, cioè dopo aver giocato con i grandi in prima squadra». 

Andrea Confalonieri


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