Ieri... oggi, è già domani - 01 luglio 2025, 06:00

“Lùi, a tera l'à bùi” - “Luglio, la terra bolle”

Vero che si diceva giugno e luglio, la terra, bolle. Giugno, se n'è andato, quindi parliamo di luglio. Il calendario incalza, i giorni "traboccano" di arsura e di variazioni del tempo, "pazzesco" e si sa mai, come continuerà...

Vero che si diceva "giugn e lùi, a tera l'à bùi" (giugno e luglio, la terra, bolle) - giugno, se n'è andato, quindi parliamo di luglio - la famosa canzone di Del Turco "luglio, col bene che ti voglio, mai finirà" - eppure, il calendario incalza, i giorni "traboccano" di arsura e di variazioni del tempo, "pazzesco" e si sa mai, come continuerà - si ricordano i tempi andati, quando "s'à'ndea in giru in pe'ntèra" (si circolava a piedi nudi), senza il pericolo di raffreddori o di reumatismi. 

Poi, c'era la "cudiga" (cotenna) che si formava sotto i piedi, a furia di calpestare la terra, con quel profumo di polvere acre, che oggi nemmeno più si avverte. Strade col "mudròn" (asfalto) ce n'erano poche e, i carretti trainati dai cavalli, segnavano il percorso, con le orme delle ruote che segnavano la pista.

Giusepèn, tira in ballo, una parola che oggi nemmeno più si utilizza - la dicevano la gente semplice, al cospetto di qualcuno che bofonchiava stupidaggini o non era coerente con la grammatica italiana. Me la diceva mamma, quando imbastivo una frase (in Bustocco, si fa per dire) sconclusionata. 

Era "strafùi" che non ha una traduzione specifica, ma condensa in quelle poche lettere: "che vai dicendo? - cosa vorresti dirmi? - cos'è questo parlare sconclusionato?" con lo "strafùi" si condensa un parlare incomprensibile, misto a quanto si sente oggi, tra i giovani - utilizzano un linguaggio di monosillabi o di "detti" che loro stessi hanno inventato. Io mi sono sentito dire da mia nipote "stai tra" e ho spalancato gli occhi, per chieder spiegazioni - era un semplice "sta tranquillo" che poteva benissimo essere camuffato con "sono d'accordo con te", ma con lo "vai tra" si raggiungeva il giusto significato - ne ho sentite altre di (forse non mi legge un quindicenne) stupidaggini che bofonchiano con la Lingua Italiana, pensando al Dialetto Bustocco - e, a onore del vero, proprio la nostra Parlata, è quasi "forbita", elegante, specifica, con significati "variopinti".

Per i più testardi, si diceva "a ti, s'à fa prima a metatàl'n dul cù che'n dul co" (a te si fa prima a mettertelo nel sedere che nella testa) che, con l'italiano "bisticcia", ma rende merito al significato. 

C'è poi la famosa frase della moglie del Carletto che si rivolge al marito, dicendogli: "a poga l'e se pu, par pruedi e nogn ghèm chi trì fioeu" (la paga non è sufficiente e noi abbiamo qui tre figli). Il bravo Carletto è un po' impacciato nel chiedere l'aumento della retribuzione, al signor Luigi che è il titolare dell'Impresa - poi prende coraggio e si espone: "sciur Luigi, a me dòna l'à disi che a poga l'e poca e nogn ghèm cenc cù da fo cagò" (signor Luigi, mia moglie dice che la paga è poca e noi abbiamo cinque sederi da far defecare) - più chiaro di così (sic) - si nota il pathos della famiglia del signor Carletto - non chiede, pietà, nemmeno, elemosina, ma evidenzia il fatto che per crescere, occorre nutrirsi, occorre vestirsi e ovviamente è necessario ubbidire alle Leggi della Natura. 

Come si fa a resistere a cotanta sincerità? - vista la laboriosità di Carletto, anche il signor Luigi ha compreso il giusto aumento della paga o salario.

Altro vocabolo imparato da mamma è "imbrughenta" che si traduce semplicemente in "bollente" - all'epoca, quando gli adulti e i ragazzi, rincasavano dal lavoro o dai giochi, "s'à duèa fo'l bogn" (si doveva fare il bagno) e, non c'era la doccia, nemmeno la vasca da bagno; quindi, "a masèa" (mamma o donna di casa) doveva scaldare un secchio d'acqua - poi, dentro il lavabo o il lavandino "a tochi" (a pezzi) ci si lavava - mamma, fungeva da "sentinella" per vigilare il come ci si lavava. "Tia via'l crocu in di ginogi" (lava lo sporco dalle ginocchia) - "i ongi'n negàr" (le unghie sono nere) - "ul cruatèn al ga su'na riga" (il collo mostra una linea scura) - poi, tutti lindi e puliti, pronti "pàa scèna" (per la cena)- dell'acqua, sempre "imbrughenta" (bollente) si perdeva il ricordo.

E se qualcuno (papà, zio Giannino ed io) si lamentava, mamma rispondeva perentoria " va lò, strafui" (che voleva dire tutto o niente), però, la pulizia si fa con l'acqua calda, anzi "imbrughenta" e non era possibile... replicare.

"Anca da lùi, Giusepèn, ga oei 'n Nocino" (anche di luglio, Giusepèn, occorre il Nocino) ed il sorriso risplende tra gli sguardi sereni.

Gianluigi Marcora