Quando osservo Giusepèn e lo vedo un tantino "frastornato" mi viene subito in mente di dirgli "s'à ghè?" (cosa c'è), per un fatto semplice: non voglio che qualcosa lo turbi. Chiaro, lui è in piena facoltà di intendere e di volere (come si dice), ma, quando qualcosa lo "turba" ha una reazione, come a dire "parchè al capissi naguta?" (per quale motivo "colui" capisce nulla?). Ed eccolo aprirsi, Giusepèn, in un dialogo sereno, corretto, col sorriso "sui baffetti" che gli vedo... fibrillare.
"M'àn dì, sal voi dì brùsogiu, ma gu dì che sul me libar, l'è scrittu" (mi hanno chiesto il significato di "brùsogiu" ed io ho risposto che sul "mio" libro, è scritto) - magnifico quel "me libar" (mio libro) che Giusepèn sente suo, fino alle viscere; quindi gli ho ribadito... "e alua?" (e allora?) - "aluà, digal anca mo, sal'è'l brùsogiu... dam, eghi pascenza" (allora, spiegalo ancora, cosa vuol dire "brùsogiu"... suvvia, abbi pazienza) - Giusepèn è così semplice che a volte fa tenerezza. E quando lui mi "ordina" (sia chiaro, il suo "ordina" vuol dire che ci tiene al Dialetto Bustocco da strada), io eseguo, per un fatto semplice: Giusepèn è Bustocco nativo e lavativo sino alle midolla e nessuno (ti giuro, nessuno) sa confonderlo, storpiando la nostra parlata.
Eccoci, dunque al "brùsogiu" che ha un significato specifico. Tradotto in italiano, vuole dire "bruciore di stomaco" - lo si diceva (e in pochi lo dicono tuttora) quando si digeriva con fatica; quando si aveva "mangiato pesante", quando si era un tantino costipati. "Brùsogiu" manifestava il malessere di una persona, ma pure un'innocente indigestione, quando magari si partecipava a qualche matrimonio, a qualche cena per l'addio giovinezza; quando la "gola" vinceva sulla sobrietà del nutrimento.
Il bello, però è che "brùsogiu" ha un significato molto esteso che nulla ha a che vedere col "bruciore di stomaco" - si diceva "brùsogiu" a colui che non adempiva a precisi doveri - a chi lavorava male - a chi snobbava la buona creanza - agli ineducati, ai saccenti, a chi volevano sempre avere ragione, anche a dispetto dell'evidenza. Il "brùsogiu" lo si appioppava ai pedanti, ai petulanti, alle petonie, a chi (in buona sostanza) dava fastidio. Col "brùsogiu" si iniziava e si concludeva un discorso, al di là del quale, non era consentito andare oltre o sprecare ulteriori parole.
Giusepèn, non si ferma lì. Vuole una spiegazione capillare che contempla un "detto" chiarissimo e lapalissiano che è abbastanza "colorato", ma rende bene ragione su quanto si vuole specificare.
Quando i soggetti sopra elencati, non vogliono comprendere ragione o si intestardiscono sul non voler capire, oltre al Predetto "brùsogiu" gli si diceva: "a ti, s'à fo prima a metatàl in dul cu che non in dul co" e la traduzione con qualche eufemismo la si può specificare con "a te, si fa prima a ficcartelo nel sedere, che non in testa" - sic - al di là della stupidità, non si può andare e di fronte a "fatti estremi" occorrono "estremi rimedi" - qui, basta la constatazione sopra enunciata.
"Mo si càl va ben" (adesso si che va bene), sentenzia Giusepèn e aggiunge solo un sorriso delicato, coi suoi "occhietti furbi" e l'immancabile aplomb che sciorina quando è totalmente soddisfatto.