«Quando mercoledì all'alba mi sono precipitato qui e ho visto come erano ridotti i campi, mi veniva da piangere. Io in queste campagne ci sono cresciuto, salendo sul trattore insieme a papà fin da bambino».
Svegliarsi nel cuore della notte e avere paura di perdere qualcosa che non è solo un lavoro, ma anche l'investimento di una passione e l'eredità di un amore tramandati da un padre al figlio per oltre 40 anni e curati come se lui fosse ancora qui, a proteggere e sorvegliare quella campagna trasformata in campi di mais cresciuti al prezzo dei sacrifici di una vita: è ciò che è accaduto a Fabio Pinton, agricoltore di Daverio e principale produttore di mais della nostra zona.
Nel momento in cui il cielo ha deciso di scaricare in poche ore più della metà della pioggia che solitamente cade in tutto il mese di maggio, e il torrente accanto ai campi è uscito dagli argini, Fabio si è precipitato qui per vedere questa piana di 10-15 ettari (in totale quelli dell'azienda agricola sono una cinquantina), che lui stesso aveva arato da solo di notte accumulando anche 17 ore al giorno di lavoro, «invasa da un metro di acqua».
«Noi raccogliamo dai 3.000 ai 3.500 quintali di mais all'anno, che poi vendiamo a un allevamento di maiali in provincia di Bergamo, e siamo già in ritardo di un mese con la semina per via delle continue piogge - ci racconta Fabio, guardando a questa terra come faremmo noi con tutte le cose più care della nostra vita - Ho 30 mila euro di semi e concime in magazzino che non so quando potrò utilizzare, ma sicuramente servirebbero almeno 15 giorni di sole e vento che asciughino il terreno per poter entrare. Il rischio di una semina così ritardata è di non riuscire a portare a maturazione il mais che, per completare il ciclo, ha bisogno di 120-140 giorni. Se di solito lo raccogliamo a settembre, la speranza dopo quello che è successo è di riuscire a farlo almeno a fine ottobre. Chi invece ha già seminato, si trova in una situazione ancora peggiore perché deve buttare via e riseminare tutto».
In quarant'anni Fabio e suo papà Lino - scomparso lo scorso luglio anche se in realtà è ancora qui, da qualche parte, a sussurrare le cose giuste e ad accudire la sua terra che iniziò a coltivare da ragazzo - avevano visto qualcosa di simile solo nel 2008, l'anno dell'alluvione in Piemonte.
Al di là delle precipitazioni eccezionali dei giorni scorsi, è evidente come la manutenzione ordinaria di fiumi e torrenti che, qui a Daverio come ovunque, sono proprietà demaniale («Se un privato volesse ripulirli di sua spontanea volontà da infestanti, rami spezzati o altro rischierebbe una multa perché per legge non può farlo»), impedirebbe la formazione di "tappi" che poi facilitano inondazioni come questa. Servirebbe un intervento almeno regionale, visto che nessun Comune pare avere la quantità di risorse necessarie per poter far fronte a questo tipo di interventi.
Come reagirebbe papà Lino di fronte a questi campi tutti neri e inzuppati di fango? «Impazzirebbe - risponde Fabio - questa è la prima fonte di reddito dell'azienda agricola che ha anche un po' di vivaio e fornisce servizi di giardinaggio». Non esiste una forma di rimborso o aiuto di fronte a eventi naturali simili per chi vive e lavora grazie al cielo e alla natura come l'azienda agricola Fabio Pinton: «Mai visto un euro, neppure dopo la siccità di un paio di anni fa che ci è costata 2.000 quintali di mais, anche se appena capitano cose simili tutti si muovono e ci chiamano, come ha fatto Coldiretti in settimana. Da quando siamo in Europa i costi di produzione sono esplosi, aumentando almeno di otto volte nel giro di vent'anni, ma i prezzi dei prodotti finali sono dimezzati: hanno iniziato a darci qualche contributo, ma parliamo di una cifra che oggi è arrivata ad essere un sesto rispetto a quella che ci davano anni fa e che a me non basta neppure per iniziare».
La promessa con cui salutiamo Fabio, che è sostenuto dalla sua famiglia, dalla compagna Sara e da mamma Giuliana, ma anche dal suo piccolino Christian che a volte lo segue in campagna come Fabio da bambino faceva con suo papà Lino, è quella di tornare qui nel momento della raccolta del mais: significherebbe che la speranza e la tenacia hanno battuto perfino la pioggia. E che, senza altri aiuti, il cielo ha ridato ciò che per ora ha tolto. Intanto non possiamo che soffiare più forte del vento verso questi campi di Daverio che valgono un pezzo di vita.