Ieri... oggi, è già domani - 04 dicembre 2023, 04:00

"bruma" - pioggerellina

"al bruma" e già mi immagino la risposta del mio amico Lettore che di fronte a una domanda "come si chiama il milite-ignoto giapponese?" ha risposto "chi-caz-è", ci ha pensato su, poi è sbottato in un laconico "non so lo"

"al bruma" e già mi immagino la risposta del mio amico Lettore che di fronte a una domanda "come si chiama il milite-ignoto giapponese?" ha risposto "chi-caz-è",  ci ha pensato su, poi è sbottato in un laconico "non so lo". Per analizzare compiutamente il "al bruma" mi è facile tirare in ballo "ul Giusepèn" che, tronfio di gloria e di sapere, dice "al bruma, sa disi candu ga egn giù aqua fina ca l'à sumea cal pioei, ma l'e vea non - l'e aqua bagnòa, ma al pioei non" - si dice (al bruma) quando scende acqua finissima che assomiglia alla pioggia, ma non è vera pioggia.

Un conto è vedere acqua piovana consistente, a catinelle, vorticosa, temporalesca, ma un altro conto è valutare l'acqua fitta-fitta e docile che bagna senza avere bisogno di un ombrello, per ripararsi.

"ma la bogna" insiste Giusepèn. Certo che bagna …. vuoi che scenda acqua asciutta? - se la ride il mitico Giusepèn, ma non più di tanto. Nella sua filosofia-spicciola, Giusepèn vuole dimostrare la netta differenza fra la pioggia e "a bruma".

Dopo l'excursus meteorologico, Giusepèn va a parare sui diversi tipi dell'acqua che scende dal cielo. C'è la pioggerellina "di marzo" decantata dal poeta che scende "argentina" sui tetti arsi dell'estate e sulle campagne che "boccheggiano" per la loro necessità di essere fertili e la pioggia vera e propria che dovrebbe semplicemente scendere dal cielo, senza procurare danni. Dopo la "casistica" e la vera importanza della pioggia, Giusepèn ci mette il "maencu" che è un'altra parola che l'amico Lettore, pronuncia stropicciando gli occhi. Giusepèn taglia corto: "maencu l'è aqua e tròn misti a ventu forti" (maencu è acqua e tuoni, misti a vento forte), ma non solo. Insieme all'acqua che scende a scrosci, oltre ai fulmini, ci sono le saette, le sbandate atmosferiche che destano paura, più di stupore e che fanno ricordare i primi anni del '900 quando su Busto Arsizio si abbattè il ciclone. Proprio così, il ciclone che oggi chiamiamo tsumani o tornado, tanto per chiarirne la portata.

Giusepèn è categorico "alùa ghe stei i morti" (allora, ci sono stati dei morti) e lo catechizza la Storia che non è avara di particolari. Poi, successe più nulla …. sino a qualche anno fa, quando di tornado si è fatta la conoscenza anche da noi.

Facile aggiungere … allora, che si fece per prevenire il mutamento della meteorologia?

"naguta" (niente risponde Giusepèn. Anche per il fatto che nessuno (all'epoca) era in grado di aver "sotto tiro" l'evoluzione del tempo e, prevenire l'accaduto, era arduo. Tanto è vero che nei primi cinquant'anni del secolo scorso, si diceva che "ul paesan al guarda sempar a chel' là al voltu, par capì s'àa l'àa sumenò e candu l'e ua da catà su ul frutu dul lauà" (il contadino guarda sempre il cielo, per capire quando deve seminare e quando è tempo per raccogliere il frutto del proprio lavoro) e la mente va a commentare come, all'epoca, era arduo svolgere un Lavoro così faticoso, ma pure così rischioso. Non c'erano …. ciclone, tsunami, turbini, saette, ma c'era tanta incertezza su come fare in campagna o mettersi alle prese col destino, nello svolgimento del proprio lavoro.

Poi, si "inventarono" le serre, si ebbero notizie sulle previsioni del tempo, ci si organizzò per andare incontro al destino, ipotizzando ogni rischio da temere e ogni operazione da svolgere con l'evoluzione delle stagioni. "mo, s'à capissi pu s'à na fò" (adesso, non si capisce più come dobbiamo agire" e Giusepèn si riferisce ai mutamenti climatici, ai "tornado" che abbiamo imparato a conosce, anche qui - resta il piacere di un cin-cin col Nocino e Giusepèn fa un sorrisetto accondiscendente che è un piacere osservare.

Gianluigi Marcora