Quella conversione che non ha nulla di miracolistico, i segreti del manoscritto, certi parenti di cui Manzoni non poteva andare fiero, quel pilastro che si chiama Innominato. E poi il sugo della storia raccontato non come fanno spesso i libri, ma con la passione di uno che del Manzoni la sa lunga e che vuole rendere partecipi gli altri di quello che sta dietro alle quinte di un grande che ha segnato la storia della letteratura.
Questa è stata la serata di ieri con l’Ucid, all’Idea Verde di Olgiate. Una cena che ha voluto ricordare i 150 anni della scomparsa di Alessandro Manzoni e gli imprenditori cattolici lo hanno fatto chiamando un docente che collabora con i dipartimenti di filologia moderna dell’Università agli studi di Milano, nonché scrittore, giornalista, conduttore radiofonico e blogger: Giovanni Fighera. Hanno scelto lui che nel novembre 2021 li aveva già trascinati nell’ultraterreno di Dante e ieri ha saputo travolgerli nel viaggio di uomo che da agnostico ha gradualmente scoperto il cattolicesimo, armonizzando quei valori dell’Illuminismo alla nuova religione.
E che dire del manoscritto? È un escamotage letterario, peraltro di moda nel Settecento o è davvero esistito? «C’è una lettera – racconta il prof – in cui Manzoni invitava Tommaso Grossi nella villa Brusuglio per mostrare il manoscritto». Già le lettere. «Sono fondamentali per scoprire il dietro alle quinte dell’autore. E così il 16 luglio 1821, anno della prima redazione del Fermo e Lucia, Manzoni apprende dalla Gazzetta di Milano della morte di Napoleone. Settanta giorni dopo il famoso 5 maggio! Attraverso la trascrizione dei discorsi di Napoleone a Sant’Elena, si scopre che Napoleone afferma di essere cattolico e che si era comportato nel modo che tutti conosciamo in forza della ragion di Stato».
Particolari importanti dunque di un grande della storia che non è stato l’unico a convertirsi. Che dire di quel Bernardino Visconti, parente del Manzoni (i Beccaria erano discendenti dei Visconti), appesantito da un’esistenza costellata di delitti che a un certo punto decide di cambiare vita? «Anche questa non è una decisione improvvisa – chiarisce – L’Innominato stava già vivendo una crisi, sentiva già quell’”uggia”, quel fastidio fisico per i male commessi. E quel fastidio, quella vecchiaia, quel giudizio individuale, quella voce si fanno sempre più sentire. Finché arriva Lucia, quella ragazza che tanto invidia perché mai sola, con la memoria sempre con lei, sorretta dalla fede, che gli fa capire che “Dio perdona tante cose per un’opera di misericordia”. Frase significativa che rivoluziona il modo di pensare. Ed è così che l’Innominato diventa il pilastro del romanzo. Un pilastro accanto alla monaca di Monza indispensabile per sorreggere la cattedrale dei Promessi sposi».
Poi c’è anche quel Giacomo Maria Manzoni che aveva con sé i bravi, imprenditore in ambito siderurgico, un infame che ha fatto uccidere tanta gente. Dunque sia da parte di padre sia di madre, lo scrittore milanese non può andare di certo fiero. Eppure anche qui, non tutti i mali vengono per nuocere. Perché i Promessi sposi vogliono insegnare proprio questo: «Dai guai bisogna stare lontani, ma spesso sono i guai che vengono a cercare noi – ricorda la conclusione del romanzo – La fede in Dio li addolcisce, li rende utili per una vita migliore. Così Renzo ha imparato non solo a non alzare troppo il gomito, a non bere, a non alzare la voce davanti alla folla, a non mettersi nei pasticci, ma “il sugo” è quello di fare il bravo ragazzo. Lucia questo messaggio lo aveva già imparato: ecco che i due si confrontano per capire cos’hanno imparato dalla loro vita ed è così bello che lo mettono come “sugo” di tutta la storia».
Allora, la conclusione inevitabile: i Promessi sposi vanno letti a tutte le età, non solo a 16 anni. Perché hanno tanto da insegnare, a tutti: ragazzi, giovani, adulti, anziani. «Il mio incontro con i Promessi sposi – conclude – è una finestra aperta. Ho ancora tanto da scoprire».
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