Mi piace; tantissimo, mi piace, quando un Lettore mi propone qualche riflessione sul nostro Dialetto Bustocco da strada. Ringrazio subito l'amica Graziella Enrica Puricelli che mi manda un pensiero con dentro "Natal, sbàagiu dul gal" (Natale, sbadiglio del gallo).
Lo trasmetto subito a Giusepèn che gradisce tantissimo. Sbotta con un "t'e edi? s'a imprendi sempar. Nisogn l'e maestar e tuci sem sculari" (vedi? si apprende sempre. Nessuno è maestro e tutti siamo scolari).
Ritorniamo allo "sbàagiu" che contiene due "àa" nel Bustocco, per dare ossigeno alla lettura. Scrivere "sbagiu" è errato; invece "sbàagiu" indica proprio lo sbadiglio che profuma di poesia. Bello lo "sbadiglio del gallo" che annuncia il Natale. Significa pure che la Festa è intima e agognata e dura lo spazio di uno sbadiglio del tempo. Dentro quello "sbadiglio" si vivono emozioni grandiose. Emozioni che catturano l'anima e che arricchiscono l'album dei ricordi. Non è raro sentire "t'e se ragordi chel Natol candu ghea chi un po?" (ricordi quel Natale quando era ancor vivo papà?) e altri momenti di vita che possedevano quale radice comune, il Natale.
Questo "sbadiglio del tempo" mi fa tornare alla mente "quel Natale" con lo zio Giannino che preparava di buon mattino la "rustisciàa" (piatto tipico Bustocco, composto da fegatini e frattaglie) che veniva "proposta" quale colazione, innaffiata da "ven biancu magar" (vino bianco secco) da non confondere col moscato o altri vini (come il vin santo, lo zibibbo, dolci e aromatici.
Per distinguere il Natale da ogni altro giorno, nelle case contadine si degustava di buon mattino, la "rustisciàa" invece del solito caffelatte. Lo zio si "trasformava" in cuoco e si metteva davanti "àa stua" (alla stufa) con una padella piatta e capiente e ci …. lavorava sopra. Già detto di frattaglie e fegatini, ma dopo ho capito che insieme al soffritto con una corposa cipolla, lo zio ci metteva i bargigli del gallo, le "minuzie" che ho poi chiamato "fegatini", cucinati per non buttare nulla.
Anche i bimbi gustavano (si fa per dire) la "rustisciàa". Anche perché nessuno conosceva gli ingredienti e …."quando l'occhio non vede, il cuore non duole". Per "ul ven magar" i bimbi attingevano le labbra nel bicchiere, per ritrarsi quasi subito per non assuefarsi all'alcool.
Ricordo tuttora l'andirivieni di parenti e amici per lo scambio di auguri. Non potevi andartene senza aver degustato la specialità e talvolta "ci scappava" anche un coro sul "Tu scendi dalle stelle" e non sapevi qual era il motivo. Chi diceva l'amore per il bel canto e chi invece attribuiva al "ven magar" gli effetti del "concerto". Giusepèn ammicca serio e si accomuna ai ricordi. Poi "ringrazia a sciua Puricelli par ul bel rigordu" (ringrazia la signora Puricelli per il bel ricordo) e dopo un sorriso "largo e teso" conclude con un "sano" Nocino.