Prima di discutere sul "rabusèl" che è semplicemente un pertugio, un buco, uno spiazzo da dove si transita. Giusepèn quasi mi obbliga di chiarire un altro …. mistero; quello del "fa sunò i campàn da perzu" che nella traduzione in italiano significa "far suonare le campane per chi si è perso". Detto così, sembra uno sproposito, come a dire "che significato ha?", ma nel primo novecento, per cercare qualcuno che si è perso (magari per avere smarrito la strada di casa), si facevano suonare le campane, col tocco quasi "infamante". Non era proprio il tocco che si allestiva per i funerali o che annunciava una catastrofe o un pericolo, ma aveva un tocco un tantino più morbido e continuo che somigliava a una litania insistente, ma sempre un tocco un po' allarmistico.
Poi, il "detto" si è configurato con chi arrivava agli appuntamenti con poco o tanto ritardo, tanto da far dire, ironicamente "menu mal ca te se riò …. vueu fa sunò i campan da perzu" (meno male che sei arrivato …. volevo far suonare le campane per chi si è perduto). Ed era una maniera per "tollerare" il ritardo, ma pure un ammonimento di non provarci un'altra volta a non mantenere l'orario dell'appuntamento. Mi viene in mente la … Vanoni col suo "strano appuntamento" con quel "mi manchi" che è quasi una preghiera. Per dire che allora, si imparava il rispetto con chi aveva fissato l'incontro, per affari, ma pure per i giochi, per andare a scuola, per il lavoro e (udire udite) anche per il cosiddetto "puntello" cioè l'appuntamento con la "tusa" (ragazza) che piaceva e con la quale si voleva instaurare un rapporto …. di conoscenza.
Giusepèn, ammicca e annuisce. Il rispetto nasce proprio da lì; mai in anticipo, mai in ritardo, ma sempre all'ora stabilita con "uno o due secondi" prima dello scoccare dell'ora.
E adesso occupiamoci del "rabusèl", il pertugio che esisteva nel locale principale della casa colonica o dentro le case di ringhiera. Era solitamente un "quadratone" che permetteva il passaggio di un uomo, senza fargli fare troppa fatica e lo si raggiungeva attraverso una scala a pioli (non Pioli, allenatore del Milan). Siccome all'esterno della casa c'era sempre poca luce, ecco che si doveva quantomeno tutelarsi per evitare cattivi incontri notturni. Di lestofanti in giro, ce n'erano anche a quei tempi; quindi una volta rincasati tutti quanti, si metteva alla porta "ul cadenasciu" (il catenaccio) che non permetteva una facile entrata a chi era all'esterno.
Dal "rabusèl" ci si immetteva nella camera da letto, dove dormivano non solo i genitori, ma pure i figli che venivano al mondo. L'intimità (diciamolo subito) era subordinata al sonno dei pargoli e, per quanto mi riguarda (anche qui, lo dico subito) una sola volta ho "scoperto" i miei genitori a far l'amore e pur avendo qualche "notizia" sul da farsi, pensavo fosse impossibile coglierli sul fatto. Fu dopo avere visto il film PSYCO con mio cugino Pasquale. Oltre a non prendere sonno, quella sera avevo degli "incubi" a occhi aperti ed ebbi quella "scoperta" che pensavo fosse appannaggio dei giovani genitori e …. non altro. Beata innocenza. Meno male che oggi, non solo i giovani fanno l'amore - sic. Stetti zitto, però, poi mi addormentai felice, dopo avere ascoltato parole tenere che il papà dedicava a mamma.
Sul "rabusèl" tuttavia c'è un'altra interpretazione. E per chi conosce il Dialetto Bustocco "da strada" vale la pena precisare che pure il …..buco del sedere, lo si chiamava così, rabusèl. Questo ultimo pensiero lo si potrebbe cassare, ma non ce la faccio a nascondere la verità. Quindi, "rabusèl" uguale a buco e per … estensione a quel buco e non altro.