Nata a Varese, due lauree, una passione professionale e poi politica: la sanità, con tutta la sfera dell’assistenza. Maria Cristina Cantù, 57 anni, è capolista della Lega al proporzionale del Senato nel collegio che comprende Varese, Como, Lecco, Sondrio e Monza, oltre che lanciata nel collegio uninominale del Senato di Milano per il centrodestra. Senatrice, e prima ancora assessore regionale nell'esecutivo Maroni ha iniziato nella giunta comunale di Laveno Mombello.
Partiamo dai primi passi. Lei ha preso in tempi rapidi non una, bensì due lauree. È sempre anche stata attirata dal settore sanità?
Mi sono laureata con 110 e lode in Giurisprudenza e in Scienze politiche all’Università degli Studi di Milano, quest'ultimo corso di laurea con indirizzo economico. Mi sono interessata in particolare alla gestione dell’ente pubblico e al controllo. È stato possibile anche perché mi sono diplomata al Liceo classico in quattro anni, per cui ho potuto conseguire la prima laurea a 21 anni. Per me era indispensabile mettersi al servizio del bene comune con competenze e conoscenze: partendo dalla sanità sì, e immaginando un orizzonte di cambiamento.
Un mondo che ha vissuto come dirigente nelle Asl di Mantova, Milano e Monza, ma anche nell’azienda ospedaliera di Gallarate. Qual è la sua visione di sanità?
Una sanità più giusta e universalistica, che funzioni insomma per tutti. Una declinazione autentica dell’articolo 32 della Costituzione: la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Dobbiamo andare oltre agendo in prevenzione prima ancora che in cura e assicurando la piena attuazione dei livelli essenziali di assistenza. Quindi in una logica di piena garanzia in termini di risposte di salute e tutela delle fragilità. Vorremmo dare risposte efficaci, considerando che nel 2050 il rapporto giovani-anziani sarà di uno a tre. Ciò significa che dobbiamo creare le condizioni per creare una buona salute senza sprecare nemmeno un euro.
Una sfida a dir poco difficile.
Sì, anche perché oggi le risorse cominciano ad avere dimensioni considerevoli, in questi ultimi due anni abbiamo raggiunto i 126 miliardi di fondo sanitario nazionale, che tende a 130, senza migliorare nessun indice di performance: in primis le liste d’attesa. Con le immissioni di altri miliardi, se ciò non è successo, vuol dire che nessuno ha controllato le spese in termini di impieghi e di esiti.
Controllo, è questo il nodo?
Un nodo, esatto, insieme alle carenze negli investimenti sulla prevenzione. E poi pensiamo a tutte le assunzioni di medici e infermieri, bene, ma quante di queste nuove figure sono digitali? Assumere persone rimaste precarie per tanto tempo, senza supporti formativi adeguati, non aiuta a curare le persone appropriatamente. Occorre investire in chiave strutturale, non di precariato diffuso, come fatto negli ultimi due anni e mezzo. Dal 2012 vi era il vincolo a non spendere più di quanto speso nel 2004: andando a rispettarlo formalmente si è esternalizzato la qualunque, andando a fare costi sotto altre voci. Poi oggi si parla di togliere il vincolo di sforamento del 160% del debito pubblico rispetto al Pil...
Un boomerang?
Non sono un’economista, ma una bottega che ha un debito superiore al 160% del proprio fatturato... Io non ero al governo nel 2011, ma la nostra coalizione veniva bersagliata quotidianamente per non rispettare i vincoli di bilancio imposti dalle regole europee. Oggi abbiamo un incremento di 11 miliardi al mese con il governo dei Migliori: abbiamo raggiunto la cifra monstre di 2.700 miliardi, la più alta di sempre.
Tradotto in azione, che cosa deve accadere?
Suoniamo la campanella, la ricreazione è finita. Per soddisfare gli interessi di pochi, pubblici e privati, si disattendono quelli di quasi 60 milioni di italiani. La sinistra dice che non si può applicare la flat tax. Invece, quante imprese italiane che si erano spostate all’estero per essere competitive a livello globale, per qualche punto di differenza riporterebbero l’attività da noi. Occorre semplificare il fisco e far sì che non ci siano più scusanti, per recuperare un bel po’ di evasione diretta e indiretta: potrebbe essere la strada per far sì che la sanità resti davvero un bene disponibile per tutti in maniera universalistica. Contrastando incongruenze e inappropriatezze sempre operando sul fronte della prevenzione prima ancora che della cura. Poi ripeto, bisogna pensare, al di là delle politiche per la natalità, alla popolazione over 65, destinataria di prestazioni sanitarie: se invecchi in buona salute, puoi diventare un valore per i bisogni delle famiglie. Ci sono nonni fantastici educatori con i genitori.
Abbiamo visto quando è venuta meno la possibilità di ricorrere a loro durante la pandemia.
Infatti. Poi pensiamo al personale, certo, dobbiamo avere bravi medici, infermieri e tecnici, ma non basta: occorre una visione complessiva, fin qui mancata, quindi bisogna investire in capitale umano e formazione, come nell'adeguamento tecnologico e nella riqualificazione delle strutture. Le regioni non possono essere lasciate da sole. Si è vista la mancanza di un'idonea programmazione nazionale sui rischi endemici e pandemici, difatti rincorrendo le varianti il pericolo è quello di arrivare impreparati al prossimo inverno. E poi bisogna pensare alle famiglie, che devono sentirsi coprotagoniste. Ci sono anziani istituzionalizzati precocemente, perché le famiglie sono state lasciate sole.
Tra le sue azioni di senatrice, c’è stato il Ddl sulle misure per il potenziamento della medicina territoriale in prevenzione e assistenza primaria.
Sì, ho lavorato sul fronte sanitario per l'integrazione ospedale-territorio e poi su quello assistenziale. Ci siamo anche impegnati, con due ordini del giorno, a valorizzare gli Irccs non solo come punti di riferimento per le terapie avanzate e la ricerca, ma anche come incubatori di formazione e conoscenza clinica. Mi sta a cuore la specializzazione delle nuove leve, come pure una ricerca mirata alla sostenibilità delle cure e l'efficienza in termini di appropriatezza dell’impiego delle risorse, dando di più e costando di meno. Un compito difficile, ma se ci credi davvero…
Torniamo un attimo a chi è Maria Cristina Cantù. Qual è la sua caratteristica principale?
La mia passione è scrivere, approfondire: tutto ciò che propongo è frutto di studio. In sanità non ci sono soluzioni semplici a problemi complessi.
Lei vive a Milano, ma quanto si sente varesina?
Amo Varese, tutta la provincia. Ho un pezzo di cuore a Laveno Mombello, dove ho avuto anche l’onere e l’onere di essere l’amministratore più votato. Ebbi anche a pubblicare un libro funzionale al generare l’innamoramento nei piccoli per l’educazione ambientale. Erano gli anni Novanta… mi prendevano per visionaria.