Ieri... oggi, è già domani - 27 luglio 2022, 06:00

"ul raustu" - il Ferragosto

Giusepèn anticipa i tempi, per parlare "dul raustu" (il Ferragosto)

Giusepèn anticipa i tempi, per parlare "dul raustu" (il Ferragosto). Lo fa con la signorilità che lo contraddistingue, mettendo in risalto una verità che oggi potrebbe sbalordire. "Sa stea  a co dul lauà dumò ul 15 d'austu e l'ea un dì da festa solenne" (si stava a casa dal lavoro solo il 15 di agosto ed era un giorno di festa solenne). E' per dire che dopo qualche anno, anche il mondo del Lavoro si è evoluto; si sono inserite le Ferie e quant'altro.

Un esempio tipico, me l'aveva riferito pure mamma che lavorava presso "ul Culumbèn" (Colombino che con le sorelle era titolare della Tessitura Fratelli Colombo) e che a Ferragosto, avevano organizzato la "gita premio - pagata" a Cervinia. Giusepèn ricorda le sue "spasegioei" (passeggiate) che si svolgevano nei Comuni non troppo distanti, tipo la Valle Vigezzo, il Sacro Monte di Varese, fino magari a Genova per …. ammirare da vicino il mare.

Giusepèn si sofferma a parlare delle gite al Sacro Monte di Varese, spesse volte condotte a bordo "dul caretòn" (il carretto) che per un giorno non trasportava "lavoro", ma un carico di persone. Piero, il cavallo, era il protagonista, specialmente al ritorno, quando tutti erano stanchissimi; gli uomini "un po' bevuti" e l'abbondanza del vitto aveva vinto sulla lucidità  dei passeggeri.

Bello è che al Sacro Monte di Varese, si andava in colonna. Quindi, almeno quattro "caretòn" sopra i quali si intonavano canti popolari tipo "quel mazzolin di fiori". L'allegria era spontanea e il chiasso della brigata faceva da corollario alla Festa per antonomasia.

Giunti a Varese (è sempre Giusepèn a parlarne) si saliva per le Sacre Cappelle, a piedi, tenendo la briglia del cavallo e giunti in cima, si andava "al scepu" (al ceppo) "di tri cruseti" (delle tre croci) che permettevano pure uno spettacolo mozzafiato che incuteva in tutti i partecipanti, meraviglia e stupore . Proprio "al ceppo" si incontravano altre comitive e la domanda comune era "dua ti ste" (dove abiti) e così facendo, si mescolavano i vari Dialetti che scandivano la differenza del parlare.

Ci si stupiva, persino. I più credevano che il proprio Dialetto fosse la Lingua Ufficiale comune e che l'Italiano (qualcuno ne aveva sentore) era un "di più" da esibire per farsi credere intelligente.

Però "che bel" (che bello) sbotta Giusepèn, con la semplicità di un bambino, velando i ricordi con un attimo di melanconia, rincorrendo con la mente attaccata al cuore, quei momenti gioiosi scritti dentro il destino.

All'imbrunire, quando il sole caracollava fra le colline e il lago, "ul caretòn"  si ricomponeva e dopo un'accurata visita al prato per raccogliere eventuali rifiuti, si intraprendeva il percorso di casa. Ecco che a salire in cattedra era Piero, il cavallo "conscio" che non avrebbe ricevuto "ordini" attraverso le redini, ma col proprio fiuto e il proprio intuito, portava tutti a casa. Le mamme e i papà della compagnia, portavano i bimbi a nanna. Per quell'unico giorno (direi che era già notte) nessuno si fermava a lavarsi. Lo si faceva al risveglio del giorno dopo. "Bel ul me raustu" (bello il mio Ferragosto). E, per spegnere quel pizzico di nostalgia, che si fa Giusepèn?  "Nocino - cin cin".

Gianluigi Marcora