Dormire su una brandina sospesa tra le rocce nel vuoto, pagaiare per chilometri e chilometri tra fiordi e iceberg per raggiungere le vette da scalare, convivere con zanzare, sfidare gli eventi atmosferici, mangiare alla bell’e meglio e poi tanti allenamenti, tanti sacrifici, tanti rischi, ma la ricompensa è impagabile: vivere un’avventura allo stato puro, immergersi nella natura a stretto contatto con le montagne. Le sue montagne.
Sembrano azioni inimmaginabili quelle che ieri Matteo Della Bordella ha raccontato al pubblico che affollava la sala Tramogge in occasione dei cent’anni del Cai di Busto Arsizio. Ma è tutto vero: lo ha dimostrato con un filmato mozzafiato dove ha descritto giorno dopo giorno, minuto dopo minuto le sue imprese in Patagonia e in Groenlandia. Lui e i suoi compagni di cordata dormivano su una brandina agganciata alle rocce, al di sotto il vuoto, scalavano pareti strapiombanti. E il tutto lo ha spiegato dinanzi a un pubblico attentissimo.
Lui, ingegnere nato e cresciuto a Varese, ha raccontato di come è nata sua passione per la montagna. «Ho approcciato la montagna con papà – ha raccontato – quando fin da piccolo mi portava con lui ad arrampicare. All’inizio non avevo compreso questa mia passione, è cresciuta con il tempo».
Così si è iscritto alla Liuc e per un po’ ha portato avanti università e alpinismo. Poi è arrivata la laurea in ingegneria e il dottorato. Poi ancora ecco presentarsi il bivio: ingegnere o alpinista. Ma la passione per la montagna era troppo forte. Il mestiere dell’ingegnere poteva anche piacergli, ma tra i due, le pareti verticali hanno preso il sopravvento. Così, aiutato anche da aziende che hanno creduto in lui e lo hanno sostenuto, ha deciso di dedicarsi alla montagna, facendo parte del Gruppo Ragni del Cai di Lecco.
Ma il suo è un alpinismo tutto particolare, non solo perché scala vette impensabili delle sue amate Patagonia (11 spedizioni dal 2010) e Groenlandia, ma anche perché lui apre nuove vie, come quella che ha inaugurato sul Cerro Torre, la montagna mitica per l’alpinismo.
«Per me ha significato la realizzazione di un sogno – ha confessato – Un sogno gigantesco. Sali dove non è mai salito nessuno prima di te: un’avventura allo stato puro. Servono intuizione e fantasia. E poi con il pensiero sempre fisso ai miei due compagni di cordata scomparsi di recente, Matteo Bernasconi e Matteo Pasquetta». Proprio qui, sulla montagna più conosciuta della Patagonia, Matteo Della Bordella ha esplorato nuove vie, sempre con un approccio importante: «Con timore e rispetto – ha voluto insegnare – Voglio scalare nel modo più semplice possibile: questo permette un contatto vero con la montagna. Il rispettare la montagna è un presupposto fondamentale: durante le scalate, non lascio mai segni del mio impatto. La cosa importante è lo stile, non solo conquistare la vetta». Così ha scritto anche un libro, “La via meno battuta”.
A fare gli onori di casa ieri c’era il sindaco Emanuele Antonelli che ha anche espresso parole di elogio per il Cai. «Rivolgo gli auguri a nome di tutta la città. Questa passione andrà avanti sempre, non bastano cent’anni. E un grazie anche per l’amore e la cura dei rifugi». Si riferiva al “Rifugio città di Busto” e “Maria Luisa” in Val Formazza, citati ieri anche dal presidente Cai Paolo Tagliabue. «Sono contento di festeggiare proprio oggi il centenario con Matteo Della Bordella – ha detto – Tanto più che proprio il 13 maggio 1922 veniva fondato il Cai per merito di un gruppo di bustocchi amanti della montagna. Poi arriva il “Città di Busto” e nel 1937 viene inaugurato il “Maria Luisa”. Il Cai rappresenta una delle più antiche società di Busto Arsizio, che arricchisce il tessuto sportivo e culturale cittadino. Oggi conta 450 soci».
Hai poi ricordato le prossime iniziative in occasione dei festeggiamenti del Cai: il primo sarà l’allestimento di una palestra di roccia la settimana prossima in piazza Vittorio Emanuele, poi una rassegna cinematografica al Museo del Tessile.