Scuola - 03 aprile 2022, 08:45

La scuola in tempo di guerra e i giovani profughi ucraini: ora la Dad ha davvero un perché

La barriera linguistica, specialmente per i più grandi, rende praticamente impossibile seguire le lezioni ma l’obbiettivo principale dell’inserimento è restituire un senso di socialità e regolarità già troppo a lungo negato. Dall'innovazione tecnologica può arrivare una soluzione

Con l’arrivo dei primi profughi dall’Ucraina molte scuole italiane di ogni ordine e grado si sono mobilitate per accogliere bambini e ragazzi. La barriera linguistica, specialmente per i più grandi, rende praticamente impossibile seguire le lezioni ma l’obbiettivo principale dell’inserimento è restituire un senso di socialità e regolarità già troppo a lungo negato. In diverse città, come Milano o Bologna, ci si è già organizzati per istituire dei corsi di italiano, importantissimi soprattutto nell’ottica di un conflitto più lungo e quindi di una permanenza maggiore in Italia. Certo è che spesso organizzare corsi in presenza e lezioni frontali è possibile solo nelle città più grandi, dove innanzitutto c’è un numero maggiore di rifugiati ma anche di possibili insegnanti bilingue. 

Ai piccoli comuni, tuttavia, corrono in soccorso i corsi online: è il caso di Victoria, una ragazza ucraina trasferitasi in Italia nel 2010 per amore, che, come riportato da Ansa.it, ha organizzato delle videolezioni di italiano e le ha caricate su Telegram. Quello di Victoria però non è il solo caso in cui internet si rivela di aiuto, un nuovo strumento, eredità di un’altra grande emergenza globale, sta iniziando a prendere sempre più piede: la didattica a distanza. I ragazzi e i bambini di una stessa classe si collegano da diversi paesi con i propri insegnanti e seguono le lezioni in modalità telematica. Avere questa possibilità è di grande importanza, sia dal punto di vista culturale che, soprattutto, dal punto di vista psicologico. Rimanere in contatto con professori e compagni restituisce un senso di familiarità ed appartenenza a ragazzi che si trovano in un altro paese, di cui probabilmente non conoscono la lingua e che, molto spesso, hanno lasciato in Ucraina la propria famiglia: padri o fratelli che non possono lasciare il paese, amici e altre importanti figure di riferimento, come gli insegnanti appunto.

Rimanere in contatto può rassicurare i ragazzi, farli sentire comunque in qualche modo vicini e soprattutto dà loro l’opportunità di rapportarsi con qualcuno che possa capirli realmente perché si trova nella stessa situazione e niente è più importante dell’empatia, specialmente in circostanze come queste. Come detto in precedenza è importante anche garantire una continuità nel percorso scolastico, specialmente per i ragazzi più grandi. 

Dare questa garanzia, nel mondo globalizzato e interconnesso di oggi, è ancora più importante rispetto al passato: in Italia durante la Seconda guerra mondiale le scuole vennero chiuse nell’inverno del 1942 e riaperte o richiuse in tutta la penisola a seconda delle evoluzioni della guerra, in diverse città del Nord Italia, per esempio, si decise di chiudere nuovamente le scuole a causa dei bombardamenti. In mancanza dei mezzi moderni di cui oggi disponiamo, migliaia e migliaia di alunni persero importanti anni di scuola ma ciò non sembrava avere il peso e le possibili conseguenze di oggi.

Innanzitutto avevano accesso alla scuola solo le persone privilegiate, il tasso di analfabetismo in Italia nel 1930 era del 21% ed erano pochissimi i ragazzi che avevano la possibilità di accedere alle scuole superiori.  Inoltre, ci si trovava a competere per lo più con altri ragazzi italiani nel mondo del lavoro e quasi sempre nei confini nazionali, il che metteva sia i giovani che i datori di lavoro nella stessa condizione: la guerra aveva fermato tutti. 

Oggi, nel mondo occidentale, sono molti di più i ragazzi che frequentano la scuola fino al diploma e che possono e decidono di accedere all’università. Quasi ogni università ha degli alunni internazionali e alunni che partecipano al progetto europeo Erasmus. Nel mondo del lavoro inoltre è quasi impossibile non interfacciarsi con persone che hanno studiato o vissuto all’estero: garantire l’opportunità di non perdere importanti anni di studio rispetto ai propri coetanei italiani, francesi o spagnoli oggi più che mai è doveroso.

Possiamo inoltre riflettere sulla grande differenza tra la rilevanza data al tema scuola per i ragazzi italiani durante la pandemia di covid-19 in confronto a quella che viene data oggi al proseguimento degli studi per i ragazzi ucraini. Nonostante ci fossero moltissimi di cui scrivere e notizie da coprire non c’era giornale o telegiornale in cui non si facesse un servizio al giorno sulla scuola: sull’organizzazione della didattica a distanza, sull’andamento delle lezioni, sugli esami di terza media e di maturità, sui mezzi tecnologici che lo Stato doveva impegnarsi a garantire agli studenti che non li possedevano. Tutte questioni importanti ma che sembrano, oggi, completamente sparite dal dibattito pubblico. 

La necessità di ripensare la scuola e il suo rapporto con la tecnologia per garantire il diritto all’istruzione potrebbe essere una grande opportunità per il sistema scolastico italiano, che spesso ha un rapporto conflittuale e di sospetto verso l’implementazione dell’uso della tecnologia. 

La dotazione di tablet con cui fare lezione o seguire dal libro, l’utilizzo dei computer per prendere appunti o svolgere le verifiche sono realtà quotidiane e scontate in molti paesi europei ma viste come pura follia in Italia: poter ripensare ai veri vantaggi dell’innovazione tecnologica nel mondo scolastico italiano coordinato con la presenza fisica in classe potrebbe essere un nuovo spunto di riflessione per tutti? 

Cecilia Ramone