Busto Arsizio - 24 marzo 2022, 09:05

Sanità e territorio: la riforma regionale “vista” dal Pd

A Busto un incontro promosso dal circolo cittadino. Il consigliere regionale Samuele Astuti ha elencato «criticità e problematiche»: dalle Ats ai distretti, dalle liste di attesa ai medici di medicina generale. Focus su organizzazione della sanità e case di comunità con il dottor Giulio Minoja e il professor Vincenzo Salvatore

Continuano a Busto Arsizio gli approfondimenti sulla riforma sanitaria regionale. Ieri sera, il tema è stato affrontato in un incontro promosso dal circolo cittadino del Partito Democratico, guidato dal segretario Paolo Pedotti.
Relatori, a Villa Calcaterra, Samuele Astuti, consigliere regionale e capogruppo del Pd in commissione sanità, Giulio Minoja, già direttore del dipartimento di anestesia e rianimazione di Asst Sette Laghi, e Vincenzo Salvatore, professore ordinario di diritto dell’Ue all’università degli Studi dell’Insubria.

Le «criticità»

Dopo aver ripercorso le tappe che hanno portato all’approvazione della riforma, Astuti ha elencato quelle che, dal suo punto di vista, sono le «criticità»: «Non ci piace che i sindaci siano ancora marginalizzati, mentre il loro ruolo è importante, perché capiscono i bisogni territorio – ha affermato –. Non ci piacciono le Ats. Siamo gli unici ad averle e vengono ulteriormente svuotate: sono luogo di burocrazia e non di pianificazione. E non ci piacciono i distretti, perché i nostri sono da 100mila abitanti». Una “dimensione” ritenuta eccessiva per quelli che dovrebbero essere «luoghi importantissimi dove si costruisce una vera presa in carico del paziente e anche della famiglia».

Il consigliere regionale si è poi soffermato sulle «criticità legate alla vita quotidiana». Tra queste: «Il sovraffollamento dei pronto soccorso. L’accesso in codice bianco o verde sulla popolazione è del dieci per cento. In Emilia è sotto al due. Questo perché spesso non abbiamo altri luoghi dove andare a ricevere le cure. E i costi in pronto soccorso sono molto elevati». Quindi le «liste d’attesa: oggi siamo di fronte a un servizio socio-sanitario veramente universale? Questa è la domanda vera che ha mosso il lavoro che abbiamo fatto nell’ultimo anno e mezzo in commissione sanità».

E poi il capitolo dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta: «In Lombardia mancano 1.116. 2.700 nei prossimi anni andranno in pensione. C’è un problema nazionale sulla pianificazione e sull’accesso alle specialità di medicina. In Regione il tema è ancora più importante: tra il 2018 e il 2021 abbiamo sempre chiesto di incrementare le borse di studio. In tre anni ne sono state concesse 35, in Emilia Romagna quasi cento. E negli ultimi anni molti medici di medicina generale e pediatri di libera scelta sono usciti dal sistema; due terzi di questi sono andati a fare altro. Per questo stiamo raccogliendo le firme da portare all’assessore Moratti per chiedere di affrontare il problema».

«L’occasione delle case di comunità»

Vincenzo Salvatore si è soffermato sul contesto della riforma («Con il Covid ci si è resi conto che si deve valorizzare la medicina di prossimità, rendendo più accessibili ai cittadini i servizi sanitari. La medicina deve essere a quindici minuti da casa») e sull’organizzazione della sanità.
«Il ruolo principale – ha affermato – è attributo alle Asst, con funzioni sanitaria e sociale. Ogni Asst è articolata in distretti, uno ogni 100mila abitanti. Al loro interno sono collocati ospedali e case di comunità».

Queste ultime sono «poliambulatori per cure primarie e presa in carico dei pazienti cronici che consentono di sgravare i pronto soccorso».
Il professore ha aggiunto che «si può sollevare qualche critica perché, laddove si dice di valorizzare la medicina territorio, i soggetti maggiormente penalizzati sono gli enti locali, perché non sono state ascoltate le esigenze di Comuni e popolazione». Il timore del docente è che possano diventare una sorta di «vecchi poliambulatori poco utilizzati. Tra fondi Pnrr e della Regione, la sfida è riuscire a realizzare questo sistema».

Per Giulio Minoja proprio le case di comunità rappresentano «un’occasione da non perdere per rendere la cura più efficace, collocandosi tra medico di famiglia e ospedale». Per questo, «ci aspettavamo di vederle crescere come funghi, sparse sul territorio».
Ciò che occorre, sostiene, è una «integrazione delle diverse specialità e delle competenze: lavorare gomito a gomito consente di migliorare enormemente la prestazione per il paziente». Ma anche una «modernizzazione delle procedure e una sburocratizzazione: auspico la presenza di personale amministrativo che sgravi l’impegno dei sanitari».

Riccardo Canetta