Meteo e ambiente - 17 febbraio 2022, 10:11

L'occhio del Centro Geofisico immortala il razzo cinese in collisione con la Luna: «Ci sarà un nuovo cratere»

Gli esperti della Società Astronomica Schiaparelli hanno catturato in due immagini il modulo che il 4 marzo impatterà con il nostro satellite

La Luna sta per avere un nuovo cratere. E' l'effetto previsto per il prossimi 4 marzo, quando un modulo di un razzo di fabbricazione cinese si schianterà sulla superficie del nostro satellite. L'evento è seguito anche dalle strumentazioni del Centro Geofisico Prealpino e della Società Astronomica Schiaparelli di Varese che ha immortalato il razzo nella sua corsa verso la Luna.

«Abbiamo preso un paio di immagini - fanno sapere dalla Società Astronomica Schiaparelli - Il nostro satellite naturale è costellato di crateri d’impatto meteorico risalenti a ere geologiche fa e, non essendoci atmosfera o movimento tettonico, sono stati conservati fino ad oggi come una gigantesca collezione fotografica di come doveva essere vivere nel periodo in cui il nostro pianeta si è formato, 3-4 miliardi di anni fa».

«Gli appassionati - spiegano gli esperti varesini - più incalliti di missioni spaziali sicuramente avranno sentito la notizia che da quasi un mese sta circolando in internet che il secondo stadio di razzo un Falcon 9 di SpaceX era in rotta di collisione con la luna, cosi come dichiarato dall’astronomo Bill Gray, che ha compiuto i primi calcoli orbitali. Ebbene, in questi giorni, la notizia è stata leggermente modificata: dopo essersi confrontato con un esperto di meccanica orbitale della NASA/JPL (Jon Giorgini), Gray ha ritenuto più probabile che si tratti di uno stadio del razzo Lunga Marcia C3/G2 cinese, della missione Chang’e 5, che ha portato la sonda T1 in orbita lunare nel 2014, lanciata per verificare le condizioni di rientro dall’orbita lunare».

«Vi starete chiedendo: perché questo sbaglio? E perché le cose si lasciano “alla deriva” nello spazio? - continuano - La prima domanda è abbastanza facile da rispondere: ad oggi sono stati mandati in orbita circa 15’000 tonnellate di materiale e tenere un’accurata traccia di chi sia e dove si trovi ogni singolo satellite, razzo e sonda è estremamente difficile, specialmente se ormai spenti o del tutto rotti».

«La seconda - aggiungono - richiede un po’ più di spiegazione: mandare un oggetto nello spazio richiede una gigantesca quantità di energia e questa è proporzionale al peso dell’oggetto che si vuole portare in orbita; i razzi sono creati in quelli che sono chiamati “stadi”, che possiamo approssimare a giganteschi serbatoi di propellente con dei motori attaccati, quando il serbatoio si svuota, lo stadio si sgancia dal razzo che continua la sua ascesa con i motori e il propellente dello stadio successivo. Si costruiscono cosi perché mano a mano che il carburante viene utilizzato, il razzo perde massa e quindi non deve generare più tutta quella spinta che era richiesta alla partenza, se perdesse la massa del serbatoio quindi, dovrebbe generare molta meno spinta».

«Mentre il primo stadio, quello più grosso che viene acceso alla partenza, molto spesso rientra in atmosfera e viene distrutto dal calore generato al rientro (o viene recuperato in mare o fatto atterrare), gli stadi successivi è più complesso farli rientrare, soprattutto per un loro riutilizzo, da qui il perché vengono lasciati andare alla deriva» continuano dalla pagina Facebook della Società.

«Vi proponiamo - concludono - le immagini scattate dagli associati del nostro osservatorio, la prima scattata col nostro telescopio più grande, da 84cm di diametro f3.5, sommando le immagini (20 foto da 5sec l’una) in modo da renderlo immobile nella foto; la seconda con un telescopio da 20cm f4, sommando le immagini (22 foto da 0.2sec l’una) in modo da vederne il percorso in cielo; ma in entrambe si vede distintamente il detrito spaziale».

Redazione