Da 31 anni a questa parte ogni San Valentino è, per Busto, anche il momento del ricordo. Quello di don Isidoro Meschi, accoltellato a morte da un amico con problemi psichici vicino a quella comunità per il recupero dei tossicodipendenti che proprio il sacerdote aveva contribuito a fondare. Fu uno shock per la città, un dolore profondo per tutti coloro che conoscevano don Lolo e che lo avevano frequentato in parrocchia, all’oratorio, alla redazione di Luce o nelle aule del Liceo Classico.
«Era un uomo profondamente interiore – fa presente, oggi, monsignor Claudio Livetti, che con don Isidoro ha lavorato a più riprese – non certamente un “populista”. Non ha mai cercato gli applausi, i riflettori. Nelle esperienze che ho avuto con lui, prima quando eravamo rettore e vicerettore al seminario di Venegono, poi, per sei anni, in parrocchia, non ha mai detto un no. Anche se gli si chiedeva qualcosa di impegnativo e la sua giornata era sempre piena».
Una disponibilità che, forse, giocò un ruolo nelle circostanze che lo portarono alla morte. Sapeva che il suo amico Maurizio era agitato ma non si tirò indietro e gli aperse il cancello. Don Isidoro è stato ricordato a San Giuseppe, la sua parrocchia, con una messa celebrata da don Luca Rimoldi, vescovo ausiliario di Milano e vicario episcopale, alla presenza, fra gli altri, del sindaco, Emanuele Antonelli, dell’assessore e vicesindaco, Manuela Maffioli, dell’ex primo cittadino, Gigi Farioli. Al tempio civico di Sant’Anna è inoltre esposto un ritratto, opera di Carlo Farioli, dipinto a qualche mese dalla morte (Foto sotto all'articolo).
E il percorso verso la beatificazione? «Don Isidoro – fa presente monsignore – è stato certamente una figura santa. Poi la Chiesa potrà procedere o meno con il riconoscimento ufficiale. Ma lui è nei cuori delle persone prima che sugli altari. Se n’è andato prima che la Chiesa imboccasse un certo declino, ne avrebbe sofferto molto. L’ultimo scritto che mi ha dato è stato un semplice biglietto. L’ho lasciato come ricordo in parrocchia. Dice “Grazie di tutto”. Lui aveva una qualità sempre più rara: la capacità di riconoscenza, il senso della gratitudine».