Ieri... oggi, è già domani - 04 luglio 2021, 09:00

a mota dul rudu - la catasta del letame

Lo dico subito. Non fatevi fuorviare dal titolo del pezzo. C'entra nulla con le mode. Significa solo accumulo di cose vecchie.

Lo dico subito. Non fatevi fuorviare dal titolo del pezzo. C'entra nulla con le mode. Significa solo accumulo di cose vecchie. Qui, nel Bustocco, la "mota dul rudu" è semplicemente l'accumulo di quel che si ricava in una stalla che costituiva (ai tempi) una ricchezza. Proprio così. Tanto è vero che quando una persona (che so) avesse addosso un abito nuovo o avesse acquistato un monile, si sentiva dire "t'è vendu'l rudu?" (hai venduto il letame?) Significava pure, avere nella stalla il bestiame e, da quello, tenere presente il reddito familiare, commisurato in beni di consumo, ma pure capacità di rendita ...pluriennale. La "rendita" derivava dal ....bestiame in stalla!

Quindi, "rudu" non solo quale concime o sterco mischiato a paglia, ma fonte di reddito. Già, ma come si forma "ul rudu?" - il contadino, ogni mattina, governa gli animali nella stalla. C'era il cavallo, c'erano le mucche.... i più fortunati possedevano il pollame, chi i conigli, chi anatre e oche, tuttavia, "ul rudu" si formava con la pulitura dello sterco degli animali che si sommava alla paglia che ogni bravo contadino metteva nella stalla per procurare un giaciglio decente ad animali che durante il giorno svolgevano un lavoro duro. Mi fermo qui, per non urtare la vera suscettibilità di chi pensa che gli animali da cortile o da stalla, "servono" solo per fornire le uova (galline) o per lavorare nei campi, come gli animali da soma che comprendevano pure mucche e buoi oltre a cavalli, somari e muli.

Parliamo ora di "liànda" che non è un nome di donna e nemmeno la ricetta per medicinali. Per essere maggiormente specifici, prima di svelarne il significato in italiano, farò qualche esempio.

"t'è ciapò a lianda da gni'in cò tardi - te ghe a liandà da lavassi non, prima da mangiò - che liandà l'è da fossi speciò, candu l'è ua da essi tuci in cò? - t'è bei troppu...l'è 'na lianda ca ma piasi non - lisertòn, che liànda l'è, spendi a mùua e pò dì ca te s'è sempar netu?.

Questi sono alcuni esempi trovati in giro, scavando nella memoria per "decifrare" la parola "liànda" che significa semplicemente, ABITUDINE.

Ecco quindi la frase completa circa gli esempi citati: "hai preso l'abitudine di rincasare tardi? - hai preso l'abitudine di non lavarti prima di venire a tavola? - quale abitudine hai preso, di farti aspettare, quando è ora di trovarci tutti insieme in casa? - bevi troppo...è un'abitudine che non mi piace - lucertolone (ma pure, poco di buono, spendaccione, incapace di contenere le spese e altro) che abitudine è spendere l'intera paga e poi aggiungere che hai nulla in tasca?"

Questi modi di dire (e di agire) nascondono sempre un aiuto morale. Ad esempio ....a rincasare tardi, mettevi in apprensione chi era in casa ad attenderti, non c'era il telefono...figurarsi il cellulare - la pulizia: prima di sedere a tavola, occorreva togliersi il "croccu" (sporco) da dosso e pure la polvere che regnava solenne...."ul mudròn" (l'asfalto) era poco, strade e cortili erano polverosi - che abitudine è, farsi attendere, quando la famiglia decideva quali erano gli orari precisi per essere tutti insieme presenti? - occorre essere sobri, sempre e l'abitudine di bere troppo (ci si riferisce ai liquori che allora erano ....grappa, grigioverde e qualcos'altro) non era da tollerare - spendaccione (ma ciascuno ci metta l'epiteto che gradisce) che abitudine ti sei preso, nello spendere tutta la paga e aggiungere poi che le tue tasche sono sempre vuote?

Ecco quel "netu" ha nulla a che vedere con l'essere pulito. Vuol dire appunto, avere nulla in tasca (tranne "ul pezeau" ....il fazzoletto. Giusepèn ammicca ..."l'ea in sci" (era così). Ci facciamo il Nocino, Giusepèn? ...." a lassàl voei" (a lasciarlo vuoto) e Giusepèn, si riferisce al bicchiere.

Gianluigi Marcora