L'Inter è campione d'Italia e andiamo dritti al punto: quando vince l'Inter è sempre un'ottima notizia per chi ama il balun. Soprattutto per chi ama leggere e parlare di pallone: perché le vittorie dell'Inter sovvertono le narrazioni, obbligano a provare a raccontare qualcos'altro. Perfino noi interisti siamo costretti a usare parole diverse, a lasciare chiusi a chiave gli psicodrammi, i crisiInter, il perdentismo e tutta quella pletora di espressioni che ammorbano i tavoli dei bar, i tweet degli insiders, i titoli dei giornali e i corsivi dei soloni. Che sollievo.
Ci hanno provato tutti quest'anno: il summit di Villa Bellini, che sanciva la fine ancora prima di iniziare; i cinesi che se ne fregano; il maestro Pirlo del calcio liquido; Piolisonfire, il dio Ibra e il loro Milan dei miracoli; senza ricordare l'uscita dalla champions, un presunto dramma, visto che – a memoria – di squadre italiane che la accoppiano agli scudetti ne ricordo una, negli ultimi vent'anni.
Hanno provato a giustificare le vittorie coi cinque cambi (!), coi pochi casi di covid (!), col “palla a Lukaku” e basta, con l'uscita dalle coppe che aiuta (e in una settimana sono uscite tutte).
Ci hanno provato tanti interisti, quelli dell'anno sabbatico per non sporcare il loro senso etico, pronti a non perdonare nulla all'ex gobbo Conte, dimenticandosi chi fuggiva nella notte di Madrid o chi, sempre in quella notte, adombrava incertezze sul suo futuro nerazzurro dopo aver segnato una storica doppietta.
Adesso bisogna fare piazza pulita in fretta di questi chili di inchiostro. Perché è uno scudetto lapalissiano, in super-rimonta sul Milan (non pensavamo fosse così bello), con la Juve sempre dietro, così come tutti i maestri del bel calcio, e noi con in panchina uno che era dipinto come l'ultimo dei cretini, uno che non capisce nulla di balun, un ex gobbo infiltrato per farci perdere.
Ma, in fondo, perché cancellare questi anni di narrazioni? Restino pure quei chilometri di parole; anzi: ricordiamocele. Inebriati da questa sensazione, non ricordiamo neanche più perché stiamo scrivendo. Volevamo solo dire: Inter, ti voglio bene.