Scuola - 08 febbraio 2021, 08:00

Liuc: «Un anno di cambiamento senza snaturarsi»

Il rettore Federico Visconti: «Non solo emergenza, abbiamo saputo imparare e innovare. Grazie a un grande lavoro di squadra. Teniamo aperta la porta a cosa c’è dietro le nuove tecnologie: persone che sanno approfondire e lavorare con altre».

Il rettore della Liuc Federico Visconti

Non è stata solo gestione dell'emergenza: anzi alla Liuc si sono gettate le basi più che mai per il futuro in quest’ultimo anno. Integrando le competenze e interpretando il cambiamento che questi tempi hanno richiesto a gran voce: senza però snaturare la propria vocazione,  spiega il rettore Federico Visconti nell'ateneo di Castellanza. Trent'anni dopo la sua fondazione (LEGGI QUA) un momento importante per crescere ancora.  

Come ha vissuto l’università quest’anno così difficile e allo stesso tempo sfidante: nell’organizzazione, nella sua progettualità, nel confronto con gli studenti?

Ritorno a quel 22 febbraio in cui i rettori della Lombardia avevano deciso di avviare la chiusura degli atenei per prepararsi alla didattica a distanza. Doveva essere per 15 giorni… La prima cosa che abbiamo imparato è che non eravamo in grado di prevedere la portata del fenomeno. Ma abbiamo fatto una rivoluzione, prima di tutto della didattica. E ci siamo riusciti perché avevamo già avviato tavoli di lavoro sull’innovazione didattica, degli investimenti, siamo ed eravamo abbastanza piccoli.

Il che significa anche più flessibili?

Sì, e soprattutto abbiamo fatto un grandissimo lavoro di squadra. I docenti e il personale che doveva aiutarli mettendo a disposizione le piattaforme digitali, inventarsi le lauree a distanza, gli esami. Il tutto continuando a fare anche convegni, come lo scorso ottobre con la Società italiana di marketing: non solo, a Natale abbiamo pubblicato otto riconoscimenti di ricerca importanti. Comunque, un lavoro prezioso è stato svolto dai softwaristi e il gruppo nuova didattica. Un altro esempio di tavolo di integrazione è stato quello rettorale, creato a dicembre 2019. Inoltre, l’ateneo ha realizzato un piano strategico di 160 pagine. E abbiamo continuato a imparare. Tant’è che a luglio avevamo una task force di simulazione della capacità ricettive delle aule. Mentre in Italia compravano i banchi a rotelle, abbiamo creato i presupposti per far rientrare quasi tutti gli studenti. 

Il cuore di quanto avete appreso?

Credo che l’università abbia imparato che quando bisogna cambiare modello, occorre farlo. Quindi ha appreso a fare un turnaround, un cambiamento radicale senza snaturare la sua vocazione. Tant’è che la soddisfazione dei ragazzi è emersa, dai questionari. Oggi bisogna ripensare la misurazione dell’efficienza, il team building, gli equilibri psicologici. Ci sono nuove sfide organizzative. Abbiamo vissuto il turnaround, da consolidare, dall’altro ciò ha fatto emergere anche le inerzie di alcune patologie tipiche italiane. Abbiamo agito in uno spirito tipicamente aziendalistico. Perché siamo un’azienda.

Torniamo proprio ai ragazzi. Che cosa trarrà da questa esperienza, nella sua determinazione verso il futuro, l’attuale generazione?

Noi abbiamo provato a fare il possibile, investendo sulla didattica, preparandoci per venire qua il più possibile ma anche rafforzando il servizio  di counseling, in diversi modi siamo stati vicino agli studenti. Io capisco che ci sia una grave situazione di disagio. Sono contento di molti che hanno messo energia, preoccupato di qualcuno che sceglie le vie brevi. Riguarda una nicchia, ma è un tarlo da contrastare in generale. Bisogna spiegare a chi è tentato che il giorno che sosterrà un colloquio in una grande azienda, non potrà collegarsi via Whatsapp per avere un’informazione.

In tempi di emergenza avete anche varato il nuovo piano strategico.

Il piano strategico è un upgrade, un’ulteriore crescita rispetto a quello 2016-2020. Si è lavorato con grossissimo coinvolgimento accademico del comitato rettorale e di parecchi docenti e poi c’è una parte dedicata ai servizi di gestione. Si distingue, questo piano, per una ancora più marcata attenzione alle aree del progetto universitario. Quindi la didattica, la ricerca, la terza missione che comprende elementi come la Business School, tante iniziative per il territorio come l’Archivio del cinema industriale o l’attività biblioteca,  e i cosiddetti progetti speciali, come l’i-Fab o i laboratori sulla sanità. Queste sparigliano, sono distintive della Liuc. È un documento di ingaggio del cambiamento, di integrazione e di comunicazione. Obiettivi, azioni e risorse come fa un’azienda.

L’emergenza ha fatto nascere anche l’esigenza di nuovi profili professionali o di rafforzamento di alcune competenze. Alla Liuc ha portato delle scelte in questa direzione?

Occorre riconoscere dove la tecnologia ha generato un valore (un esempio è un vaccino fatto in sei mesi), ma da lì a pensare che tutto il mondo cambierà e saranno solo le professioni di un certo tipo a dar da mangiare alla gente. Noi guardiamo ai contenuti di innovazione, pensiamo ai data science. Alcune specializzazioni le rafforzeremo, per altre dovremo fare una cura dimagrante. Il piano non prevede corsi di laurea nuovi in quanto tali. Crediamo di più nell’evoluzione dei metodi e dei processi educativi.

Può fare qualche esempio?

Il rafforzamento delle life skills e dei laboratori esperienziali, la collaborazione con le aziende. Abbiamo aggiunto già il filone del debate, sviluppando la ricerca documentale, il pensiero critico e la capacità del dialogare. Teniamo aperta la porta a cosa c’è dietro le nuove tecnologie: persone che sanno approfondire e lavorare con altre. Poi anche tornare alle relazioni internazionali conforta l’esperienza dei ragazzi. 

Marilena Lualdi